
Souvenir d'Italy.
Techo, tierra, trabajo, pan, salud, educación, independencia, democracia, libertad, justicia y paz
"Mi piace"... stare per i cazzi miei.
1977, l'anno, 1977, del, 1977, tracollo, 1977.
Enormi pascoli rosa
si dirigono malinconicamente
verso occidente
un mondo di idee
sta inevitabilmente finendo
nel fondo di un bicchiere
Inopportune resistenze
contro ignote forze
giovedì 26 febbraio 2015
martedì 3 febbraio 2015
sabato 24 gennaio 2015
Definizione di Condominio.
Un luogo chiuso in cui sono costrette a convivere un certo numero di persone che si stanno fondamentalmente sul cazzo e anche se apparentemente tutti i rapporti sono cordiali, rilassati e distesi, sotto sotto cova, potente, la follia... Persone che non hanno mai condiviso niente e che sono obbligate a convivere.
se questo è un Condominio allora vi calza perfettamente la trilogia:
repulsion, l'inquilino del terzo piano, rosmary's baby.
In un posto così non possono che germogliare follia e liberatoria violenza omicida.
Un luogo chiuso in cui sono costrette a convivere un certo numero di persone che si stanno fondamentalmente sul cazzo e anche se apparentemente tutti i rapporti sono cordiali, rilassati e distesi, sotto sotto cova, potente, la follia... Persone che non hanno mai condiviso niente e che sono obbligate a convivere.
se questo è un Condominio allora vi calza perfettamente la trilogia:
repulsion, l'inquilino del terzo piano, rosmary's baby.
In un posto così non possono che germogliare follia e liberatoria violenza omicida.
giovedì 18 dicembre 2014
mercoledì 17 dicembre 2014
giovedì 20 novembre 2014
Impossibili Equazioni.
C'era un tempo in cui era possibile
accarezzare qualche speranza,
poi
tutto ha cominciato a degradarsi,
a sfaldarsi ai margini,
puntualmente
registrato dal "cinema"
con la storia di un poveraccio
che non riesce ad
uscire
dal contesto sociale in cui è nato,
nonostante la sua ferrea
volontà.
Questo film sancisce l'impossibilità
di fare alcunchè o di "migliorarsi" od emanciparsi.
Metafora del blocco della mobilità:
l'ascensore sociale si è definitivamente
guastato e deve essere necessariamente rottamato.
Gli esclusi rimangono e devono rimanere esclusi,
e se non hanno alcuna possibilità di divenire
soggetti dotati di diritti -di acquisirli-,
anche a costo di dover adottare comportamenti
"sconvenienti" potenzialmente capaci
di generare sgomento e paura secondo
l'antico adagio "occhio per occhio, dente per dente",
nasce insofferenza e fastidio nei loro confronti.
Da qui alla negazione del diritto all'esistenza
per i tipi, anzi no, fenotipi, che differiscono leggermente
dal paradigma discendente
dal modello neo-liberista, il passo è breve.
Ecco dove l'eugenetica sembra fornire
una soluzione: "la soluzione finale!"...
...C'era un tempo in cui era possibile
accarezzare qualche speranza,
poi
tutto ha cominciato a degradarsi,
a sfaldarsi ai margini,
puntualmente
registrato dal "cinema"
con la storia di un poveraccio
che non riesce ad
uscire
dal contesto sociale in cui è nato,
nonostante la sua ferrea
volontà.
Questo film sancisce l'impossibilità
di fare alcunchè o di "migliorarsi" od emanciparsi.
Metafora del blocco della mobilità:
l'ascensore sociale si è definitivamente
guastato e deve essere necessariamente rottamato.
Gli esclusi rimangono e devono rimanere esclusi,
e se non hanno alcuna possibilità di divenire
soggetti dotati di diritti -di acquisirli-,
anche a costo di dover adottare comportamenti
"sconvenienti" potenzialmente capaci
di generare sgomento e paura secondo
l'antico adagio "occhio per occhio, dente per dente",
nasce insofferenza e fastidio nei loro confronti.
Da qui alla negazione del diritto all'esistenza
per i tipi, anzi no, fenotipi, che differiscono leggermente
dal paradigma discendente
dal modello neo-liberista, il passo è breve.
Ecco dove l'eugenetica sembra fornire
una soluzione: "la soluzione finale!".
domenica 16 novembre 2014
Il Ventre Molle della Domenica MaTTINA
Economia, economia,
per piccina che tu sia
tu mi sembri una follia.
Allievo: "Maestro, quali misteriose ragioni
condannarono, per lungo tempo,
i Rapa Nui alla miseria e alla fame?"
Maestro: "non c'è nulla di misterioso nelle
ragioni che portarono i Rapa
Nui alla miseria e alla fame...
Nulla è più trasparente e cristallino:
tutti loro erano perfettamente
consapevoli che gli alberi
stavano finendo,
ma gli alberi finirono lo stesso".
Ore 10:00 -Fatto da cui nasce riflessione-.
Sono i primi di novembre, eppure la temperatura è talmente mite che potrebbe trattarsi, se gli alberi non tradissero la stagione, di una radiosa giornata di fine primavera, quando il cielo è talmente luminoso che è impossibile guardarlo senza provare dolore agli occhi. Una giornata da lasciare trascorrere in ozio, sdraiati sulla spiaggia in muta contemplazione della "struggente bellezza del creato" e invece...
L'attività ferve, tanti piccoli uomini, come tante formichine, si danno da fare. I negozi sono quasi tutti aperti, senza eccezione per settore merceologico o area "geografica", fatto salvo, forse per i meta -l- "meccanici", ma sono convinto che a cercarlo bene "qualche stronzo di meccanico che sta aperto pure di domenica mattina si trova".
Io faccio parte di questo piccolo mondo merdoso -ne sono completamente immerso (sia nel mondo che nella sua merda)-, in eccesso di moto e, in particolare, sto cercando una agenzia per mettere in vendita casa. Smentendo "l'eccezione che conferma la regola" la trovo... anzi ne trovo diverse e ne scelgo una a caso, tanto l'una vale l'altra a tal punto da essere indistinguibili fatta eccezione per la "divisa", solo colori che armonizzano tra loro... e già, perchè ogni agenzia immobiliare ha la sua divisa, che la distingue, la rende "unica" tra le tante. In negozio trovo un "collaboratore" - non il titolare -, un lavoratore in nero, uno che vive di "provvigioni", che mangia se vende, secondo il primo -unico-, ideologico assioma capitalistico... altrimenti digiuna o rimane a carico di genitori, parenti o affini.
N: "Buongiorno"
n1: "Buongiorno, desidera?"
N: "... a desiderare, desidero, ma lo faccio nel tempo libero, invece adesso sono qui perchè avrei intenzione di mettere in vendita una casa. Mi dice con quali modalità prendete in carico "immobili" e quali sono le vostre spettanze?"
n1: "al momento della presa in carico si firma una esclusiva per 6 mesi, e le nostre provvigioni sono del 4%. Avremmo bisogno, però, di vedere la casa, capire come è dislocata e se c'è bisogno di "spingerla" attraverso una maggiore pubblicità o se è una casa che, per così dire, "si vende da se". Che lavoro fa, quale è la sua richiesta e l'immobile come si compone?"
"ma che te frega!"
N: "Si tratta di un "quartino" con, caratteristica peculiare, un
terrazzo di 50 mq vista mare...aggiungo che la distanza "vista mare" è
ottimale, nè tanto vicina da vedere i "micro-dettagli", nè tanto lontana
da perdere i "macro-dettagli" e chiedo 100 n.
n: "Vedo che se ne intende, il prezzo, in base alle informazioni fornite, è in linea con il mercato".
N: "allora vuole vederla?"
n:
"non in questo momento, come vede sono da solo, e devo tenere aperta
l'agenzia, però mi lasci il suo numero di telefono e la faccio
richiamare lunedì mattina da una mia collega che ha "competenza
territoriale" sulla zona in cui "insiste il suo immobile". Perchè la
vende?
Perchè la vendo?... cazzi miei....
N:
"Guardi è una casina "timida" e poco "insistente". Non ho motivo
particolare di vendita, salvo che non viene praticamente più
utilizzata... "è una casa fredda".
N: "il mio lavoro consiste nel vendere servizi alle imprese... come tutti. Del resto le imprese sono
l'unico soggetto a cui ancora è possibile vendere qualcosa, tutti gli
altri soggetti si sono, per così dire, "estinti", o, il che è lo stesso, non hanno più "capacità di reddito" -sono "incapaci"- e dove "servizi alle
imprese" non vuol dire solo contabilità anche se a Roma gli altri
servizi si "vendono poco e male".
n: "non lo dica a me! anche nel settore immobiliare si vende poco e male, siamo in un periodo di "bassa"
N: "perfettamente daccordo, salvo che il periodo di bassa durerà almeno 20 anni e alla fine di questo periodo "nulla sarà come prima".
n: "non sia così pessimista! Comunque io ho in mente grandi cose, e ho intenzione di sviluppare una mia innovativa agenzia immobiliare riempiendola di innovativi servizi che Lei nemmeno immagina!"
N: "e cosa ci sarebbe di così "innovativo" nella sua "innovativa " agenzia immobiliare?
n: "eh, non posso dirlo, ma le assicuro che quel che ho in mente rivoluzionerà l'intero settore delle agenzie immobiliari, a partire dai servizi informatici avanzati, innovativi e capaci di autocatturare il "target" individuato. La "crisi" non mi spaventa, perchè i veri vincenti alla fine emergono comunque".
N: "certo, "i veri vincenti alla fine emergono comunque"...
Sono sgomento... non è la prima volta che sento cose di questo tipo, ormai la merda la riconosco al volo. L'ideologia liberista ha fatto strage di ogni idea sensata e domina incontrastata...
Magiato troppo, mangiato pesante eh!
C'è qualcosa che non funziona... si qualcosa non funziona. Percepisco il limite senza vederlo, lo sento al tatto, come quando al buio affidi la vista alle mani e a tentoni avanzi barcollando. O come quando un cieco tocca un volto per ottenere una carta geografica in tre dimensioni. E' come se avessi squarciato un velo, o fossi ritornato dopo un lungo viaggio o scontato 5 anni di galera (solo 5!!!!) e le persone non avessero più la stessa faccia che avevano prima. Se le guardi attentamente sembrano le stesse, eppure come distrai e lasci cadere lo sguardo d'angolo magari per un colpo di sogno, le vedi trasformarsi in oggetti alieni e fare movimenti, suoni e facce strane da posseduti. Sono con te che ce l'hanno. Senti che le cose, pur se apparentemente filano lisce, ogni tanto si incantano, inciampano e rischiano di cadere e, come un cristallo o un vetro di murano, andare in mille pezzi, lo stesso che una figura che comincia a colare dall'angolo in alto a sinistra a causa di un virus informatico o un tentativo fallito di L. Da Vinci di creare dipinti con colori lucidi e brillanti come smalti da diluire in acqua più o meno regia. Le persone sembrano schifosi esseri usciti da incubi causati da pasti abbondanti... "Magiato troppo, mangiato pesante eh!".sabato 11 ottobre 2014
Compagni:
Buonanotte, pomeriggio, giorno, ovunque sia la tua posizione geografica, il tuo tempo, la tua maniera.
Buone prime ore del mattino. Vorrei chiedere ai miei compagni di la Sexta che vivono da altre parti, specialmente ai media liberi compagni, la vostra pazienza, tolleranza e comprensione per quello che sto per dire, perché queste saranno le mie ultime parole al pubblico prima di smettere di esistere. Mi rivolgo a voi e a tutti coloro che tramite voi ci ascoltano e ci guardano. Forse all’inizio, o nel mentre di queste parole, andrà crescendo nei vostri cuori la sensazione che qualcosa sia fuori posto, che qualcosa non quadri, come se mancassero diversi pezzi per trovare il senso di un rompicapo che vi si pone di fronte agli occhi. Come se già di per sé mancasse quello che manca. Forse dopo, dopo giorni, settimane, mesi, anni, decenni, dopo potrebbe essere compreso ciò che ora diremo. I miei compagni e compagne dell’EZLN a tutti i suoi livelli non mi preoccupano, perché di per sé questa qua è la nostra maniera: camminare, lottare, sapendo sempre che manca ciò che manca. E come se non bastasse, che non si offenda nessuno, l’intelligenza dei compagni zapatisti è molto al di sopra della mediocrità. Peraltro, ci rende soddisfatti e orgogliosi il fatto che sia davanti ai compagni, tanto dell’EZLN come di la Sexta, che diamo la notizia di questa decisione.
E quanto sarà bello per i media liberi, alternativi, indipendenti, che questo arcipelago di dolori, rabbia e dignitosa lotta che si chiam “la Sexta” verrà a conoscenza di ciò che io vi dirò, dove voglio che si trovino. Se a qualcun altro interessasse sapere cosa accadde in questo giorno, dovrà rivolgersi ai media liberi per scoprirlo. Bene dunque. Benvenute e benvenuti nella realtà zapatista.
Buonanotte, pomeriggio, giorno, ovunque sia la tua posizione geografica, il tuo tempo, la tua maniera.
Buone prime ore del mattino. Vorrei chiedere ai miei compagni di la Sexta che vivono da altre parti, specialmente ai media liberi compagni, la vostra pazienza, tolleranza e comprensione per quello che sto per dire, perché queste saranno le mie ultime parole al pubblico prima di smettere di esistere. Mi rivolgo a voi e a tutti coloro che tramite voi ci ascoltano e ci guardano. Forse all’inizio, o nel mentre di queste parole, andrà crescendo nei vostri cuori la sensazione che qualcosa sia fuori posto, che qualcosa non quadri, come se mancassero diversi pezzi per trovare il senso di un rompicapo che vi si pone di fronte agli occhi. Come se già di per sé mancasse quello che manca. Forse dopo, dopo giorni, settimane, mesi, anni, decenni, dopo potrebbe essere compreso ciò che ora diremo. I miei compagni e compagne dell’EZLN a tutti i suoi livelli non mi preoccupano, perché di per sé questa qua è la nostra maniera: camminare, lottare, sapendo sempre che manca ciò che manca. E come se non bastasse, che non si offenda nessuno, l’intelligenza dei compagni zapatisti è molto al di sopra della mediocrità. Peraltro, ci rende soddisfatti e orgogliosi il fatto che sia davanti ai compagni, tanto dell’EZLN come di la Sexta, che diamo la notizia di questa decisione.
E quanto sarà bello per i media liberi, alternativi, indipendenti, che questo arcipelago di dolori, rabbia e dignitosa lotta che si chiam “la Sexta” verrà a conoscenza di ciò che io vi dirò, dove voglio che si trovino. Se a qualcun altro interessasse sapere cosa accadde in questo giorno, dovrà rivolgersi ai media liberi per scoprirlo. Bene dunque. Benvenute e benvenuti nella realtà zapatista.
I. Una decisione difficile.
Quando irrompemmo nel 1994 con sangue e fuoco, non iniziava la guerra
per noi, noi gli zapatisti. La guerra di cui parlo, con la morte e
distruzione, le privazioni e l’umiliazione, lo sfruttamento e il
silenzio imposto al vinto, già la subivamo da secoli. Quello che inizia
per noi nel 1994 e uno dei molti momenti di quelli che stanno sotto
contro quelli che stanno sopra, contro il suo mondo.
Quella guerra di resistenza che giorno dopo giorno si imbatte nelle vie di ogni angolo dei cinque continenti, nei suoi campi e nelle sue montagne. Era ed è la nostra, come quella di molti e di molte che stanno sotto, una guerra per l’umiltà e contro il neoliberismo.
Quella guerra di resistenza che giorno dopo giorno si imbatte nelle vie di ogni angolo dei cinque continenti, nei suoi campi e nelle sue montagne. Era ed è la nostra, come quella di molti e di molte che stanno sotto, una guerra per l’umiltà e contro il neoliberismo.
Contro la morte, noi domandiamo vita.
Contro il silenzio, esigiamo la parola e il rispetto.
Contro la dimenticanza, la memoria.
Contro l’umiliazione e il disprezzo, la dignità.
Contro l’oppressione, la ribellione.
Contro la schiavitù, la libertà.
Contro l’imposizione, la democrazia.
Contro il crimine, la giustizia.
Chi con un minimo di umanità nelle vene potrebbe mettere in discussione queste richieste?
E molti queste richieste le ascoltarono.
Contro il silenzio, esigiamo la parola e il rispetto.
Contro la dimenticanza, la memoria.
Contro l’umiliazione e il disprezzo, la dignità.
Contro l’oppressione, la ribellione.
Contro la schiavitù, la libertà.
Contro l’imposizione, la democrazia.
Contro il crimine, la giustizia.
Chi con un minimo di umanità nelle vene potrebbe mettere in discussione queste richieste?
E molti queste richieste le ascoltarono.
La guerra che abbiamo sollevato ci ha dato il privilegio di arrivare
alle orecchie e ai cuori attenti e generosi, a noi geograficamente
vicini, o lontani. Mancava quello che mancava. Manca quello che manca,
però abbiamo ottenuto lo sguardo dell’altro, le sue orecchie, il suo
cuore. Dunque ci vedevamo di fronte alla necessità di rispondere a una
domanda decisiva: “Cosa verrà ora?” Nel tetro calcolo della vigilia non
c’era la possibilità di prevederlo. E così questa domanda ci condusse
verso altri quesiti: Preparare i successori nella rotta verso la
morte? Formare più soldati, e migliori? Cambiare gli impegni e
migliorare la nostra malconcia macchina da guerra? Simulare dialoghi e
disposizioni per la pace, però continuare a preparare nuovi
golpe? Uccidere o morire come unico destino? O dovevamo ricostruire il
cammino della vita, quello che fu rotto e continua ad essere rotto
dall’alto? Il cammino non solo dei popoli autoctoni, ma anche di
lavoratori, studenti, maestri, giovani, contadini, oltre a tutte le
differenze che si celebrano in alto, e che qua sotto si perseguitano e
si castigano. Dovevamo incidere il nostro sangue nel cammino che altri
compiono verso il Potere, o rivolgere il cuore e lo sguardo a ciò che
siamo, e a coloro che sono ciò che siamo, vale a dire, i popoli
autoctoni, guardiani della terra e della memoria? Nessuno ascoltò
allora, però già dai primi balbettii che furono le nostre parole
avvertivamo che il nostro dilemma non era negoziare o combattere, bensì
vivere, o morire. Chi avvertì già allora che quel primo dilemma non era
individuale, forse avrà compreso meglio ciò che è accaduto alla realtà
zapatista negli ultimi 20 anni. Però io vi ho detto che ci siamo
imbattuti in quella domanda e in quel dilemma. E abbiamo scelto.
E invece che dedicarci a forme di guerriglia, soldati e squadroni,
preparammo promotori di educazione, di salute, e cominciarono ad alzarsi
le basi di quell’autonomia che oggi meraviglia il mondo. Invece che
costruire caserme, migliorare il nostro equipaggiamento, alzare muri e
trincee, si sono erette scuole, si costruirono ospedali e centri di
salute, migliorammo le nostre condizioni di vita. Invece che lottare per
occupare un luogo nel Partenone delle morti individualizzate di quelli
che stanno sotto, scegliemmo di costruire la vita. Questo al centro
della guerra, che non perché sorda è meno letale.
Perché, compagni, una cosa è gridare “non siete soli” e un’altra è
affrontare solo con il proprio corpo una colonna di blindati di truppe
federali, come accadde nella zona degli Altos de Chiapas, e vediamo se
la fortuna ci assiste e qualcuno se ne accorge, e vediamo se c’è un poco
più di fortuna e chi si accorge si indigna, e un altro po’ di fortuna
ancora e colui che si indigna fa qualcosa. Nel frattempo, i tankette
erano frenati dalle donne zapatiste, e mancando il parcheggio fu con
insulti alle madri e pietre che il serpente di acciaio dovette
arretrare. E nella zona nord di Chiapas, si soffre la nascita e lo
sviluppo delle guardie bianche, riciclate allora come paramilitari;
nella zona Tzotz Choj le aggressioni continue da parte di organizzazioni
di contadini che di “indipendenza” a volte non hanno nemmeno il nome; e
nella zona della Selva Tzeltal la combinazione di paramilitari e
contractor.
Una cosa è gridare “tutti siamo Marcos” o “non tutti siamo Marcos”,
secondo il caso o cosa, altra cosa è la persecuzione con tutti i
meccanismi di guerra, l’invasione di villaggi, i rastrellamenti nelle
montagne, l’uso di cani addestrati, le pale degli elicotteri di
artiglieria che scompigliavano le fronde delle ceibe, il “vivo o morto”
che nacque nei primi giorni di gennaio del 1994 e raggiunse il suo
livello più isterico nel 1995 e nei 6 anni dopo, e che questa zona di
Selva Fronteriza subì dal 1995 e alla quale dopo si somma la stessa
sequenza di aggressioni di organizzazioni contadine, uso di
paramilitari, militarizzazione, istigazioni. Se c’è qualche mito in
tutto ciò non è il passamontagna, ma la menzogna che ripetono fin da
quegli anni, ripresa anche da persone con studi autorevoli, che la
guerra con gli zapatisti durò solo 12 giorni.
Non parlerò dettagliatamente dei miei ricordi. Qualcuno con un minimo
di spirito critico e serietà può ricostruire la storia, e sommare e
sottrarre per ricavarne il risultato, e dire se furono più i reporter
che la polizia e i soldati; se furono più le adulazioni che le minacce e
gli insulti; se il prezzo che si era posto era per vedere il
passamontagna o per “catturarlo vivo o morto”. In quelle condizioni,
alcune volte solo con le nostre forze e altre con l’appoggio generoso e
incondizionato della gente buona di tutto il mondo, proseguivamo nella
costruzione, ancora non terminata, certo, però già definita in ciò che
siamo. Non è quindi solo una frase, sfortunata o fortunata, a seconda
che la si veda dal basso o dall’alto, “qui siamo i morti di sempre, che
muoiono ancora, però ora per vivere”. È la verità.
E quasi 20 anni dopo…
Il 21 dicembre del 2012, quando la politica e l’esoterismo
coincidevano, come altre volte, nel predicare catastrofi che sono sempre
solo per quelli di sempre, quelli che stanno sotto, ripetemmo il colpo
di mano del 1 gennaio del ’94 e, senza sparare un solo colpo, senza
armi, con solo il nostro silenzio, prostrammo di nuovo la superbia delle
città culla e nido del razzismo e del disprezzo. Se il primo di gennaio
del 1994 migliaia di uomini e donne senza voce attaccarono e
sottomisero le guarnigioni che proteggevano le città, il 21 di dicembre
del 2012 furono decine di migliaia le persone che presero senza parole
gli edifici da dove si celebrava la nostra scomparsa. Il solo fatto
inappellabile che l’EZLN non solo non si era indebolito, figuriamoci
scomparso, ma addirittura era cresciuto quantitativamente e
qualitativamente sarebbe bastato perché qualsiasi mente mediamente
intelligente si accorgesse che, in 20 anni, qualcosa era cambiato
all’interno dell’EZLN e delle comunità.
Magari più di qualcuno può pensare che abbiamo sbagliato a scegliere,
che un esercito non può né deve impegnarsi per la pace. Per molte
ragioni, certo, però la cosa principale era ed è che continuando per
quella strada avremmo finito per scomparire davvero.
Forse è certo. O forse ci sbagliammo a scegliere di coltivare la vita
al posto di adorare la morte. Però non scegliemmo ascoltando quelli di
fuori. Non a coloro che sempre domandano ed esigono la lotta e la lotta
alla morte, mentre i morti li mettono gli altri. Scegliemmo guardandoci e
ascoltandoci, scegliemmo di essere il Votán collettivo che siamo.
Scegliemmo la ribellione, vale a dire, la vita
Ciò non vuole dire che non sapevamo che la guerra di quelli che
stanno sopra pianificava e pianifica di imporre di nuovo il suo dominio
sopra di noi. Sapevamo e sappiamo che prima o poi dovremo difendere ciò
che siamo e come siamo. Sapevamo e sappiamo che continuerà ad esservi la
morte perché ci sia la vita. Sapevamo e sappiamo che per vivere,
moriamo.
II. Un fallimento?
Dicono ogni tanto che non abbiamo ottenuto nulla.
Non smette di sorprendere che si maneggi con tanta disinvoltura
questa posizione. Pensano che i figli e le figlie dei comandanti e delle
comandanti dovrebbero poter godere di viaggi all’estero, di studi in
scuole private e poi di posti autorevoli in imprese o nella politica Che
al posto di lavorare la terra per prendere da essa con sudore e fatica i
suoi prodotti, dovrebbero mostrarsi nei social network e divertendosi
nelle discoteche, esibendo il lusso. Magari i subcomandanti dovrebbero
procreare e dare in eredità ai loro discendenti l’incarico, le prebende,
i tempietti, come fanno i politici. Magari dovevamo, come i dirigenti
della CIOAC-H e di altre organizzazioni contadine, ricevere privilegi e
paghe in progetti e appoggi, stare con la maggioranza e dare alle basi
solo qualche briciola, a patto che compiano gli ordini criminali che
arrivano dall’alto.
Però è certo, non abbiamo ottenuto nulla di questo per noi.
Difficile da credere che 20 anni dopo quel “nulla per noi” non
sarebbe risultato solo uno slogan, una buona frase per striscioni e
canzoni, bensì una realtà, La Realidad.
Se essere coerenti è un fallimento, allora l’incoerenza è il cammino
per il successo, la rotta verso il Potere. Però noi non vogliamo
prendere quella strada. Non ci interessa.
Con questa base preferiamo fallire piuttosto che trionfare.
III. Il cambio.
In questi 20 anni c’è stato un cambio d’incarichi
multiplo e complesso nell’EZLN. Alcuni hanno notato solo quello
evidente, ossia quello generazionale. Ora stanno facendo la lotta e
dirigendo la resistenza coloro che erano piccoli o non erano ancora nati
all’inizio della sollevazione. Però alcuni studiosi non si sono accorti
di altri cambiamenti. Quello di classe: dall’originaria classe
medio-istruita, a quella indigena contadina. Quello di razza: dalla
direzione meticcia alla direzione nettamente indigena.
E la cosa più importante: l’evoluzione del pensiero:
dall’avanguardismo rivoluzionario al comandare obbedendo; dalla presa
del Potere dall’alto alla costruzione del potere dal basso; dalla
politica professionale alla politica contadina; dai leader ai popoli;
dalla marginalizzazione di genere alla partecipazione diretta delle
donne; dal ridere dell’altro, alla celebrazione della differenza.
Non mi dilungherò oltre su queste cose, perché è stato precisamente
il corso “La libertà secondo gli zapatisti” l’opportunità di constatare
se in un territorio organizzato vale più il personaggio che la
comunità. Personalmente non riesco a capire come gente pensante che
afferma che la storia la fanno i Popoli, si possa spaventare tanto
davanti all’esistenza di un governo del popolo dove non compaiono gli
specialisti dell’”essere” governo. Perché li riempie di terrore il fatto
che siano i popoli a comandare, quelli che dirigano i loro propri
passi? Perché muovono la testa con disapprovazione di fronte al
comandare obbedendo?
Il culto verso l’individualismo incontra nel culto dell’avanguardismo
il suo estremo più fanatico. Ed è stato questo precisamente, il fatto
che gli indigeni comandino e che un indigeno sia il portavoce e il capo,
quello che li atterrisce, che li fa scostare, e alla fine vanno via per
continuare a cercare qualcuno che definisca le avanguardie, capi e
leader. Perché c’è razzismo anche nella sinistra, soprattutto quella che
pretende di essere rivoluzionaria.
L’Ezetaelleenne non è fatto di queste cose. Per questo non tutti possono essere zapatisti.
IV. Un ologramma che si evolve e con garbo. Quello che non sarà
Prima dell’alba del 1994 ho passato 10 anni in queste montagne. Ho
conosciuto e trattato personalmente con alcune persone dopo la cui morte
un po’ siamo morti anche noi. Conosco e parlo da allora con altri e
altre che oggi sono qui come noi.
Molte mattine mi trovavo a cercare di digerire le storie che mi
raccontavano, i mondi che disegnavano con i silenzi, le mani, gli
sguardi, la loro insistenza nel sottolineare qualcosa più in là.
È un sogno quel mondo là, tanto lontano, tanto alieno?
A volte pensavo che si era andati troppo oltre, che le parole che ci
guidavano e ci guidano venivano da tempi per i quali non c’era alcun
calendario, perduti come se stessero in luoghi geografici imprecisi:
sempre il Sud degno onnipresente in tutti i punti cardinali.
Dopo seppi che non mi parlavano di un mondo inesatto e, quindi, improbabile.
Quel mondo già andava al suo ritmo.
Voi, non lo avete visto già allora? Non lo vedete?
Non abbiamo ingannato nessuno di quelli che stanno sotto. Non
nascondiamo a nessuno che siamo un esercito, con la sua struttura
piramidale, il suo centro di comando, le sue decisioni dall’alto verso
il basso. Non per ingraziarci i libertari, o per moda, neghiamo quello
che siamo.
Però tutti possono constatare ora se il nostro è un esercito che
esclude qualcuno o che si impone. E devo dire una cosa, per la quale ho
già chiesto l’autorizzazione del compagno Subcomandante Insurgente
Moisés: nulla di ciò che abbiamo fatto, nel bene e nel male, sarebbe
stato possibile se un esercito armato, quello zapatista di liberazione
nazionale, non si fosse sollevato contro il malgoverno esercitando il
diritto alla violenza legittima. La violenza di quelli che stanno sotto
verso quelli che stanno sopra.
Siamo guerrieri e come tali sappiamo qual è il nostro ruolo e il nostro momento.
Nell’alba del primo giorno del primo mese dell’anno 1994, un esercito
di giganti, vale a dire, di indigeni ribelli, scese nelle città per
scuotere il mondo col suo passaggio. Appena pochi giorni dopo, con il
sangue dei nostri caduti ancora fresco per le strade delle città, ci
siamo resi conto che coloro che venivano da fuori non ci
vedevano. Abituati a guardare dall’alto gli indigeni, non alzavano lo
sguardo per osservarci. Abituati a vederci umiliati, il loro cuore non
comprendeva la nostra dignitosa ribellione. Il loro sguardo si era
fermato sull’unico mulatto che videro col passamontagna, vale a dire,
che non guardavano. Allora i nostri capi dissero: “Loro vedono solo ciò
che è piccolo, rendiamo qualcuno tanto piccolo, cosicché lo vedano e
tramite lui possano scorgere noi”.
Cominciò così una “complessa manovra di distrazione, un trucco di
magia terribile e meraviglioso, una maliziosa mossa del nostro essere
cuori indigeni; la saggezza indigena sfidava la modernità in uno dei
suoi bastioni: i mezzi di comunicazione.”
Cominciò allora la costruzione del personaggio chiamato “Marcos”.
Chiedo a voi che mi seguiate in questo ragionamento. Supponiamo che
sia possibile un’altra forma con la quale neutralizzare un criminale.
Per esempio, creando per lui la sua arma suicida, fargli credere che sia
efficace, convincerlo a costruire, sulla base di questa efficacia,
tutto il suo piano, cosicché in quel momento nel quale egli si prepara a
sparare, l’“arma” ritorni ad essere ciò che è sempre stata:
un’illusione. L’intero sistema, ma soprattutto i suoi mezzi di
comunicazione, giocano a costruire fama per poi distruggerla, se non si
piega ai suoi disegni. Il suo potere risiedeva (ora non più, rimpiazzato
in questo dai social network) nel decidere cosa e chi esisteva in quel
momento nel quale sceglievano cosa nominavano e cosa mettevano a
tacere. Alla fine, non fate troppo caso a me, come si è dimostrato in
questi 20 anni, io non so niente di mezzi di comunicazione di massa. Il
fatto è che il Subcomandante Marcos passò dall’essere un portavoce ad
essere un elemento di distrazione.
Se il cammino della guerra, ossia, della morte, ci aveva preso 10
anni, quello della vita prese più tempo e richiese più sforzi, per non
parlare del sangue. Perché, sebbene possiate non crederlo, è più facile
morire che vivere. Avevamo bisogno di tempo per essere e per trovare chi
sapesse vederci come quelli che siamo. Avevamo bisogno di tempo per
trovare qualcuno che non ci vedesse dall’alto verso il basso, né dal
basso verso l’alto, e che invece ci guardasse negli occhi, che ci
vedesse con sguardo da compagni.
Stavo dicendo che allora cominciò la costruzione del personaggio.
Marcos un giorno aveva gli occhi azzurri, un altro verdi, o caffè, o
miele, o neri, tutto dipendeva da chi faceva l’intervista e scattava la
foto. Così fu riserva nella squadra di calcio professionale, impiegato
di aziende immobiliari, autista, filosofo, regista, e gli eccetera che
potete incontrare nei media di professione di quei giorni e in diversi
luoghi geografici. C’era un Marcos per tutte le occasioni, vale a dire,
per ogni intervista. E non fu facile, credetemi, non c’era allora
wikipedia e se veniva lo Stato spagnolo dovevo capire cosa fosse il
“corte inglés” [NdT: la più importante catena di grandi magazzini
spagnoli]; ad esempio, era un corte de traje [NdT: smoking] tipico dell’Inghilterra, una tienda de abarrotes [NdT: drogheria], o una tienda departamental [NdT: grandi magazzini].
Se mi permettete di descrivere Marcos il personaggio, allora, io
direi senza dubbi che era una facciata, un travestimento. Diciamo che,
per farmi capire, Marcos era un Media Non Libero (occhio, che non è la
stessa cosa di un media ufficiale).
Nella costruzione e nel mantenimento del personaggio ci furono alcuni errori. “Sbagliare è umano”, disse il fabbro.
Nel corso del primo anno esaurimmo, come si dice, il repertorio di
“Marcos” possibili. Così agli inizi del 1995 eravamo demoralizzati e il
processo dei villaggi era ancora ai suoi primi passi. Così nel 1995 già
non sapevamo come comportarci. Però, è allora che Zedillo “scopre”
Marcos con lo stesso metodo scientifico attraverso il quale si trova
l’ossatura, cioè, con la delazione esoterica.
La storia del tampiqueño [NdT: dalla città di Tampico] ci ha dato un
po’ di respiro, sebbene la frode successiva della Paca de Lozano ci fece
temere che i media avrebbero messo in dubbio lo “smascheramento” di
Marcos e che potessero scoprire che era una menzogna in più.
Fortunatamente non fu così. Come quella volta, i media continuarono a
portare avanti altre storie costruite ad arte.
Un po’ di tempo dopo il tampiqueño arrivò a queste terre. Insieme al
Subcomandante Insurgente Moisés, abbiamo parlato con lui. Gli abbiamo
offerto allora di tenere una conferenza congiunta, così che egli potesse
liberarsi della persecuzione, dato che era evidente che lui e Marcos
non erano la stessa persona. Non volle. Venne a vivere qua. Uscì alcune
volte e il suo volto si può incontrare nelle fotografie dei funerali dei
suoi genitori. Se volete potete intervistarlo. Ora vive in una comunità
in…. Ah, non vuole che si sappia dove vive. Non diremo nulla di più,
cosicché, se egli lo desidera, potrà un giorno raccontarvi la storia di
quello che ha vissuto dal 9 di febbraio del 1995. Da parte nostra non ci
rimane che ringraziarlo per averci passato dati che ogni tanto usiamo
per alimentare la “certezza” che il Subcomandante Marcos non sia ciò che
in realtà è, cioè un costume o un ologramma, bensì un professore
universitario, originario dell’allora Tamaulipas.
Nel frattempo continuiamo a cercare, cercarle, cercarli, coloro che
ora sono qui, e coloro che sono qua che però non ci sono. Lanciammo
iniziative per trovare l’altro, l’altra, gli altri compagni. Diverse
iniziative, che cercavano di incontrare lo sguardo e l’udito che
necessitiamo e meritiamo. Nel frattempo, seguivo l’avanzare dei villaggi
e i cambiamenti dei quali si è parlato molto o poco, che però si
possono constatare direttamente, senza intermediari. Nel cercare altro,
di quando in quando abbiamo fallito.
Chi incontravamo voleva comandare oppure essere comandato. C’era chi
si avvicinava e lo faceva nell’affanno di usarci, o per osservare da
dietro, sia con nostalgia antropologica, sia con nostalgia militante.
Così per alcuni eravamo comunisti, per altri trotzkisti, anarchici,
maoisti, per altri millenaristi, e qui la smetto con i vari “isti”,
perché possiate porre ciò che sia di vostra conoscenza.
Così fu fino alla Sexta Declaración della Selva Lacandona, la più
audace e più zapatista delle iniziative che abbiamo lanciato fino ad
ora. Con la Sexta alla fine abbiamo incontrato coloro che ci guardano
negli occhi e che ci salutano e abbracciano, e così ci si saluta e
abbraccia. Con la Sexta alla fine vi abbiamo incontrato. Finalmente,
qualcuno che capiva che non cercavamo né capi che ci guidassero né
greggi da dover condurre alla terra promessa. Né padroni né schiavi. Né
caudillos né masse senza cervello. Però non avevamo ancora constatato se
fosse possibile che guardassero e ascoltassero ciò che veramente
eravamo.
All’interno, intanto, l’avanzare dei villaggi è stato
impressionante. Allora ci fu il corso “La libertà secondo gli
zapatisti”. Presto ci rendemmo conto che già c’era una generazione che
poteva guardarci negli occhi, che poteva ascoltarci e parlarci senza
aspettarsi guide o capi, né pretendere sottomissione o seguito. Marcos,
il personaggio, non era già più necessario. La nuova tappa della lotta
zapatista era pronta.
Passò quindi ciò che passò e molte e molti di voi, compagne e
compagni di la Sexta, lo conoscete direttamente. Potrete dire dopo che
la faccenda del personaggio fu noiosa. Però una revisione onesta di quei
giorni dirà quante e quanti si voltarono a guardarci, con apprezzamento
o con disprezzo, per i mutamenti di un costume.
Così il cambiamento del comando no avviene per una malattia o per la
morte, né per cambio di ruoli interno, purga o epurazione. Si fa in
accordo ai cambiamenti interni che ha vissuto e vive l’EZLN. So che
tutto questo non quadra con gli schemi quadrati soliti delle persone
distinte che stanno di sopra, ma la verità è che non ci interessa. E se
questo rovina la pigra e povera elaborazione dei rumorologi e degli
zapatologi di Jovel, beh, amen.
Non sono né sono stato malato, né sono o sono stato morto. Oh sì,
anche se tante volte mi uccisero, tante volte sono morto, e ancora sono
qua. Se incoraggiammo questi rumors fu perché conveniva così.
L’ultimo grande trucco dell’ologramma fu simulare una malattia
terminale, incluso tutte le morti che ha sofferto. Di certo, il “se la
sua salute lo permette”, che il Subcomandante Insurgente Moisés usò nel
comunicato annunciando la condivisione con il CNI, era un equivalente a
“se il popolo lo chiede” o “se i sondaggi mi favoriscono” o “se dio mi
concede la licenza” o altri luoghi comuni che sono stati il ritornello
nella classe politica degli ultimi tempi.
Se mi permettete di darvi un consiglio: dovreste coltivare un po’ il
senso dell’umorismo, non solo per la salute mentale e fisica, ma anche
perché senza senso dell’umorismo non riuscirete a capire lo zapatismo. E
chi non capisce, giudica: e chi giudica, condanna.
In realtà quella è stata la parte più semplice del personaggio. Per
alimentare i rumors fu necessario solamente dire le cose a qualche
persona in particolare: “ti dico un segreto però promettimi che non lo
racconterai a nessuno”. Ovvio che lo raccontarono.
I principali collaboratori involontari dei rumors sull’infermità e
sulla morte sono stati “gli esperti di zapatologia” che nella superba
Jovel e nella caotica Città del Messico professano la loro vicinanza con
lo zapatismo e la profonda conoscenza che hanno di esso; oltre,
ovviamente, ai poliziotti che agiscono anche come giornalisti, e ai
giornalisti che agiscono come poliziotti, e ai giornalisti che agiscono
solo, e male, come giornalisti.
Grazie a tutte queste persone. Grazie per la loro discrezione. Fecero
esattamente come noi avevamo previsto. L’unico male in tutto questo, è
che ora dubito che qualcuno gli vada più a raccontare qualche segreto.
È nostra convinzione e nostra pratica che per rivelarsi e lottare non
siano necessari capi né caudillos, né messia né salvatori. Per lottare
si necessita solo di un poco di vergogna, tanta dignità e molta
organizzazione. Ciò che vi è in più, o serve al collettivo o non serve.
È stato particolarmente comico quello che il culto dell’individuo ha
provocato nel politologi e negli analisti che stanno sopra. Ieri dissero
che il futuro di questo paese messicano dipendeva dall’alleanza di due
personalità. Il giorno prima dissero che Peña Nieto si rendeva
indipendente da Salinas de Gortari, senza accorgersi che, allora, se
criticavano Peña Nieto, si mettevano dalla parte di Salinas de Gortari; e
che se criticavano quest’ultima, appoggiavano Peña Nieto. Ora dicono
che bisogna optare per un bando nella lotta di quelli che stanno sopra
per il controllo delle telecomunicazioni, cosicché o stai con Slim o con
Azcárraga-Salinas. E più in alto, o con Obama o con Putin.
Coloro che dall’alto sospirano e guardano possono continuare a
cercare il loro leader; possono continuare a pensare che ora sì, si
rispetteranno i risultati elettorali; che ora sì, Slim appoggerà
l’opzione elettorale di sinistra; che ora sì in Game of Thrones
appariranno i draghi e le battaglie; che ora sì, nella serie televisiva
The Walking Dead, Kirkman andrà a ingraziarsi il comico; che ora sì, che
gli attrezzi fatti in Cina non si rovineranno già dal primo utilizzo;
che ora sì, ora il calcio torna ad essere uno sport e non meri affari.
E sì, può essere che in alcuni di questi casi ciò accada, però non
c’è da dimenticare che in tutto questo si è meri spettatori, vale a
dire, consumatori passivi.
Chi ha odiato o amato il Subcomandante Marcos ora sa che ha odiato e
amato un ologramma. I suoi amori e il suo odio sono stati, quindi,
inutili, sterili, vuoti, vacui.
Non ci sarà quindi una casa-museo o placche di metallo dove io sono
nato e cresciuto. Né ci sarà chi vivrà delle vicende del Subcomandante
Marcos. Né si erediterà il suo nome ed il suo incarico. Non ci saranno
viaggi tutti pagati per dare da parlare all’estero. Non ci sarà
trasporto né attenzione in ospedali di lusso. Non ci saranno vedove né
eredi. Non ci saranno funerali, né onori, né statue, né musei, né premi,
né niente di ciò che il sistema fa per promuovere il culto
dell’individuo e per sminuire la collettività.
Il personaggio fu creato e ora noi i suoi creatori, gli zapatisti e
le zapatiste, lo distruggiamo. Se qualcuno capisce questa lezione che
stanno dando i nostri compagni e le nostre compagne, avrà capito uno dei
fondamenti dello zapatismo. Così negli ultimi anni è successo quello
che è successo.
Allora abbiamo visto che il costume, il personaggio, l’ologramma,
beh, non era necessario. A volte pianifichiamo, altre volte aspettiamo
il momento indicato: la tempistica e il luogo precisi per mostrare ciò
che in verità siamo a coloro che in realtà sono. Allora arrivò Galeano
con la sua morte a indicarci il luogo e la tempistica: “qui, a La
Realidad; ora: nel dolore e nella rabbia”.
V. Il dolore e la rabbia. Sussurri e grida
Quando lentamente arrivammo qui a La Realidad, senza
che nessuno ce lo dicesse iniziammo a parlare in sussurri. Piano
parlava il nostro dolore, ancor più piano parlava la nostra rabbia. Come
se cercassimo di evitare che Galeano venisse spaventato dai rumori, dai
suoni che gli erano alieni. Come se le nostre voci e i nostri passi lo
chiamassero. “Aspetta compagno”, diceva il nostro silenzio. “Non
andartene”, sussurravano le nostre parole. Però ci sono altri dolori e
altre ire.
Proprio ora, in altri angoli del Messico e del mondo, un uomo, una
donna, un bambino, una bambina, un anziano, un’anziana, una memoria, è
attaccata a colpo sicuro, circondata dal sistema che si è fatto crimine
vorace, è bastonata, accoltellata, le viene dato il colpo di grazia,
trascinata fra gli sbeffeggiamenti, abbandonata, e recuperato e avvolto
il suo corpo, la sua vita sotterrata.
Solo qualche esempio:
Alexis Benhumea, assassinato in Messico. Francisco Javier Cortés,
assassinato in Messico. Juan Vázquez Guzmán, assassinato in
Chiapas. Juan Carlos Gómez Silvano, assassinato in Chiapas. El compa
Kuy, assassinato nel DF. Carlo Giuliani, assassinato in Italia. Aléxis
Grigoropoulos, assassinato in Grecia. Wajih Wajdi al-Ramahi, assassinato
in un campo profughi nella città cisgiordana di Ramala, a 14 anni,
ucciso da un colpo alla spalla sparato da un posto d’osservazione
dell’esercito israeliano, e per lui non vi sono stati cortei, né
proteste né altro in strada. Matías Valentín Catrileo Quezada, mapuche
assassinato in Chile. Teodulfo Torres Soriano, compagno de la Sexta
desaparecido a Città del Messico. Guadalupe Jerónimo y Urbano Macías,
comuneros di Cherán, assassinato a Michoacán. Francisco de Asís Manuel,
desaparecido a Santa María Ostula. Javier Martínes Robles, desaparecido a
Santa María Ostula. Gerardo Vera Orcino, desaparecido a Santa María
Ostula. Enrique Domínguez Macías, desaparecido a Santa María
Ostula. Martín Santos Luna, desaparecido a Santa María Ostula. Pedro
Leyva Domínguez, assassinato a Santa María Ostula. Diego Ramírez
Domínguez, assassinato a Santa María Ostula. Trinidad de la Cruz
Crisóstomo, assassinato a Santa María Ostula. Crisóforo Sánchez Reyes,
assassinato a Santa María Ostula. Teódulo Santos Girón, desparecido a
Santa María Ostula. Longino Vicente Morales, desaparecido a
Guerrero. Víctor Ayala Tapia, desaparecido a Guerrero. Jacinto López
Díaz “El Jazi”, assassinato a Puebla. Bernardo Vázquez Sánchez,
assassinato a Oaxaca. Jorge Alexis Herrera, assassinato a
Guerrero. Gabriel Echeverría, assassinato a Guerrero. Edmundo Reyes
Amaya, desaparecido a Oaxaca. Gabriel Alberto Cruz Sánchez, desaparecido
a Oaxaca. Juan Francisco Sicilia Ortega, assassinato a Morelos. Ernesto
Méndez Salinas, assassinato a Morelos. Alejandro Chao Barona,
assassinato a Morelos. Sara Robledo, assassinata a Morelos. Juventina
Villa Mojica, assassinata a Guerrero. Reynaldo Santana Villa,
assassinato a Guerrero. Catarino Torres Pereda, assassinato a
Oaxaca. Bety Cariño, assassinata a Oaxaca. Jyri Jaakkola, assassinato a
Oaxaca. Sandra Luz Hernández, assassinata a Sinaloa. Marisela Escobedo
Ortíz, assassinata a Chihuahua. Celedonio Monroy Prudencio, desaparecido
a Jalisco. Nepomuceno Moreno Nuñez, assassinato a Sonora.
I migranti spariti in modo forzoso e probabilmente assassinati in qualsiasi angolo del territorio messicano.
I detenuti che si vogliono uccidere in vita: Mumia Abu Jamal, Leonard Peltier, los Mapuche, Mario González, Juan Carlos Flores.
Il continuo sotterramento di voci che furono vita, messe a tacere dal cadere della terra e dal chiudersi delle sbarre.
E l’ironia maggiore è che, ad ogni palettata di terra che butta
l’assassino di turno, il sistema continua a dire: “non vali niente, non
importi, nessuno ti piange, a nessuno dà rabbia la tua morte, nessuno
segue il tuo passo, nessuno eleva ad esempio la tua vita”. E con
l’ultima palettata sentenzia: “se anche catturassero e castigassero noi
che ti abbiamo ucciso, sempre incontrerò un altro, altra, altri, che di
nuovo ti nasconderanno e ripeteranno la danza macabra che terminò con la
tua morte”. E dice: “La tua piccola giustizia, nana, fabbricata perché i
media ufficiali simulino e ottengano un po’ di calma per frenare il
caos che gli vola addosso, non mi spaventa, non mi danneggia, non mi
castiga”.
Che diciamo a questo cadavere che, in qualsiasi angolo del mondo di
quelli che stanno sotto, lo si sta seppellendo nell’oblio? Che solo il
nostro dolore e la nostra rabbia contano? Che solo il nostro coraggio
importa? Che mentre sussurriamo la nostra storia, non ascoltiamo il suo
grido, il suo urlo disperato?
Ha tanti nomi l’ingiustizia e sono tante le urla che provoca. Però il
nostro dolore e la nostra rabbia non ci impediscono di ascoltare. E i
nostri sussurri non sono solo per lamentare la caduta delle nostre morti
ingiuste. Sono per poter ascoltare in questo modo altri dolori, fare
nostre altre ire e continuare così nel complicato, lungo e tortuoso
cammino a fare di tutto questo un urlo disperato che si trasformi in
lotta di liberazione.
E non dimenticare che, mentre qualcuno sussurra, un altro grida. E solo l’orecchio attento può ascoltare.
Mentre parliamo e ascoltiamo, ora, qualcuno urla di dolore, di
rabbia. E così come si deve apprendere a dirigere lo sguardo, l’ascolto
deve trovare la strada che lo renda fertile. Perché mentre qualcuno
riposa, c’è chi cammina in salita.
Per conseguire questo obiettivo, basta abbassare lo sguardo ed elevare il cuore.
Potete?
Potrete?
La piccola giustizia assomiglia tanto alla vergogna. La piccola
giustizia è quella che assegna impunità; castigando uno, assolve
altri. Quella che noi vogliamo, per la quale lottiamo, non si esaurisce
nel trovare gli assassini del compagno Galeano e assicurarsi che
ricevano il loro castigo (così sarà, che nessuno si illuda).
La ricerca paziente e ostinata trova la verità, non il sollievo della
rassegnazione. La grande giustizia deve riguardare il compagno Galeano
sotterrato. Perché noi non ci domandiamo cosa fare della sua morte, ma
cosa dobbiamo fare con la sua vita.
Scusate se entro nel fangoso terreno dei luoghi comuni, però quel
compagno non meritava di morire, non così. Tutto il suo impegno, il suo
sacrificio quotidiano, puntuale, invisibile per chi non era dei nostri, è
stato per la vita. E se vi posso dire che è stato una creatura
straordinaria e più, e questo è quello che meraviglia, ci sono mille di
questi compagni e compagne come lui nelle comunità indigene zapatiste,
con lo stesso impegno, identico accordo, uguale acutezza e un’unica
meta: la libertà. E facendo conti macabri: se qualcuno merita la morte è
chi non esiste né è esistito, se non nella fugacità dei mezzi di
comunicazione professionali.
Già ci ha detto il nostro compagno capo e portavoce dell’EZLN, il
Subcomandante Insurgente Moisés, che uccidendo Galeano, o qualsiasi
degli zapatisti, quelli che stanno sopra volevano ammazzare l’intero
EZLN. Non come esercito, ma come stupido ribelle che costruisce e crea
vita dove loro, quelli che stanno sopra, vogliono il Páramo delle
industrie minerarie, petrolifere, turistiche, la morte della terra e di
che la abita e lavora. E ha detto che siamo venuti, come Comando
Generale dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale, a
dissotterrare Galeano.
Pensiamo che sia necessario che uno di noi muoia perché Galeano possa
vivere. E per far sì che quell’impertinente che è la morte sia
soddisfatta, al suo posto mettiamo un altro nome, perché Galeano viva e
la morte non si porti via una vita, ma solo un nome, lettere svuotate di
tutto il loro significato, senza propria storia, senza vita.
Così abbiamo deciso che oggi Marcos smette di vivere.
Lo porteranno con la mano sotto l’ombra del guerriero e con un po’ di
luce perché non si perda nel cammino, Don Durito andrà con lui, lo
stesso il Vecchio Antonio. Non ne sentiranno la mancanza le bambine e i
bambini che prima si ritrovavano per ascoltare i suoi racconti, beh già
son grandi, già hanno giudizio, già lottano come mai per la libertà, la
democrazia e la giustizia, che sono i compiti di qualsiasi zapatista. Il
gatto-cane, e non un cigno, intonerà ora il canto d’addio.
E alla fine, chi capisce, saprà che non se ne va chi c’è sempre
stato, né muore chi non ha vissuto. E la morte se ne andrà ingannata da
un indigeno con il nome di Galeano nella lotta, e in queste pietre che
hanno posto sulla sua tomba tornerà a camminare e insegnare, a chi
voglia, le basi dello zapatismo, cioè, non vendersi, non ritirarsi, non
arrendersi.
Ah la morte! Come se non fosse evidente che quelli che stanno sopra
li libera da tutte le corresponsabilità, aldilà dell’orazione funebre,
l’omaggio grigio, la statua sterile, il museo che conserva.
A noi? Beh, la morte ci coinvolge per quello che riguarda la vita. E così noi siamo qui, beffando la morte in realtà.
Compagni:
Detto tutto questo, essendo le 02.08 del 25 di maggio del 2014 nel
fronte di guerra sudorientale dell’EZLN, dichiaro che smette di esistere
il conosciuto come Subcomandante Insurgente Marcos, l’autodenominato
“subcomandante di acciaio inossidabile”.
Questo è quanto.
Con la mia voce, già ha smesso di parlare il portavoce dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale.
Bene. Saluti e a mai più… o per sempre, chi ha capito saprà che questo già non importa, che non ha mai importato.
Da La Realidad zapatista,
Subcomandante Insurgente Marcos
Messico, 24 di maggio del 2014
P.S.1 – “Game is over”?
P.S.2 – Scaccomatto?
P.S.3 – Touché?
P.S. 4 – Ci si vede, raza, e mandatemi del tabacco.
P.S. 5 – Mmh… e così è questo l’inferno… Quel Piporro, Pedro, José Alfredo! Come? Da maschilisti? Nah, non penso, se io mai…
P.S. 6 – Ma, come si suol dire, senza il costume, posso mica andare in giro nudo?
P.S. 7 – Sentite, c’è troppo buio qui, ho bisogno di un po’ di luce.
P.S.2 – Scaccomatto?
P.S.3 – Touché?
P.S. 4 – Ci si vede, raza, e mandatemi del tabacco.
P.S. 5 – Mmh… e così è questo l’inferno… Quel Piporro, Pedro, José Alfredo! Come? Da maschilisti? Nah, non penso, se io mai…
P.S. 6 – Ma, come si suol dire, senza il costume, posso mica andare in giro nudo?
P.S. 7 – Sentite, c’è troppo buio qui, ho bisogno di un po’ di luce.
(…)
[Si sente una voce]
Viviate buone albe compagni e compagne. Il mio nome è Galeano, Subcomandante Insurgente Galeano.
Altri si chiamano Galeano?
[si sentono voci e urla]
Ah, mi hanno detto che quando sarei nato di nuovo lo avrei fatto in collettivo.
Così sia.
martedì 22 luglio 2014
Enzimi Digestivi.
sconfitta inevitabile: un peto nell'immensità del cosmo; complessità: limite posto dal creatore alla ricerca di un "buco nero" da riempire di materiale lattiginoso; sudditi: servi della gleba in cerca di consistenti riduzioni di schiavitù.
coltivare persistentemente un sogno
trasporterà il mondo nel gordo bisogno.
Metalinguaggi immersi in due sonni,
speranza nell'amminoacido dei tonni.
Sfregare nobile grasso - omega 3 o 6 -
per lenire, quanto basta, attriti ossei.
Inutile arrestare sconfitta definitiva
pensando a qualche tisana curativa,
Semmai far si che l'corpo imbibisca
in una miscela di piccante tabasca.
un sogno, un sogno, solo un sogno, "un'idea" su un "concetto" nella posizione del missionario supino, "un'idea" approssimata a meno uno!
Il tempo è ormai maturo, è necessario cambiare modo e stile di vita, forma indissolubilmente legata a sostanza. Non si presenterà più occasione per migliorare e rendere "presentabile" "l'uomo nuovo". Un futuro radioso ci attende, mentre il mondo marcisce putrescente.
un peto, un peto è solo un peto, un'insorgenza gassosa capace di trasformare in peso lievi sostanze eteree aromatizzate ai polifenoli. Sono qui seduto, "pensando a chi pensa a se stesso pensante" mentre la vita scorre piatta come un encefalogramma guasto, incapace di rilevare la benchè minima traccia di intelligenza.
Le famose, patetiche, masse non possono -purtroppo- emancipare. Compresse come sono tra quello che percepiscono come necessità e stupidità. L'organo pensante ha i suoi tempi, ed ottenere consapevolezza costa caro, ad esclusione di una piccolissima frazione predisposta "geneticamente". Oggi mantenere un modello che confeziona come prodotto netto "rifiuti" comporterà fame, morte, miseria. Cazzo! sarà per questo che non riesco più a stare seduto sulla poltrona? Quelli che fanno affari d'oro saranno costretti ad affogare il resto dell'umanità nel sangue.
lunedì 7 luglio 2014
giovedì 3 luglio 2014
Exercises child for life outside of Italy
I am dismay! This morning I found my facebook page at thirty. What is
the problem? ... Is that I'm 16 years old. I found my future life
written and published on a miserable page facebook. I'll be rich,
famous, I'll have 8 villas around the world, 2 private jets, 1 yachts
and some 4 billion Euros, I'll be married with 4 dependent children.
I'll divorce and then I'll stay just like a dog, I will become a famous
geneticist, i'll win a Nobel Prize after a brilliant academic career and
I will be remembered for centuries for having created the "new man."
I'll be a manufacturer of GMO humans! Wow. I have to say that my future I
like ... it's like to be God! And that is why I do not I will modify my
behavior in any way to avoid changing my future. The thing to do is
invent a potion to forget what I'm reading today on my facebook page future.
A few years later ...
I'm 30 years old and unfortunately it was not a good idea to create the potion "oblivion".
All this time I 've been caught in a time loop, because every time I drank the potion, I forgot everything. it recursively I went up on my facebook page of 30 years and then I created the potion to forget. So I have not become anything, just a loser with only the merit of having invented the "potion to forget."
P.S. I decided, at 30 years old, of to delete definitively my facebook page and look for "a warm place with no memory" in order to live in peace the rest of my life.
A few years later ...
I'm 30 years old and unfortunately it was not a good idea to create the potion "oblivion".
All this time I 've been caught in a time loop, because every time I drank the potion, I forgot everything. it recursively I went up on my facebook page of 30 years and then I created the potion to forget. So I have not become anything, just a loser with only the merit of having invented the "potion to forget."
P.S. I decided, at 30 years old, of to delete definitively my facebook page and look for "a warm place with no memory" in order to live in peace the rest of my life.
domenica 29 giugno 2014
Ghiaccia
fredda giacevi,
quando i ricordi erano coevi.
bastava ti allontanassi
e prendeva corpo la lotta tra le classi.
classe a e classe b carogne
quando i ricordi erano coevi.
bastava ti allontanassi
e prendeva corpo la lotta tra le classi.
classe a e classe b carogne
per coprire le vergogne.
La medicina rassicura,
e i campioni in cesellatura,
trovano parole convincenti
fabbricando solidi legami covalenti...
Una ragazza per la strada trova due persone morte, anzi, no, 3. Uno è un uomo, un disgraziato qualsiasi, l'altra una donna incinta, quasi una disgraziata qualsiasi. Per fortuna la pallottola le ha attraversato il cranio e non l'addome, altrimenti, lacerandolo malamente, avrebbe fatto fuoriuscire il contenuto: feto, acqua, sangue, merda et altro, rovinando irrimediabilmente il drammatico effetto scenograficamente perfetto della morte asettica senza spargimento non autorizzato: solo "i marines e le persone a modo sanguinano in piccole polle ordinate", gli altri sprillano a cazzo! "Un morto è come un materasso su cui puoi piantare un gomito", è un bancomat per prelevare sigarette, che tanto alla proprietaria non servono più e sono pure quotate dannose per la sua salute. Prima essere pensante(?) adesso insaccato speziato... alimento completo per animali -lipidi, carboidrati, proteine ed acidi nucleici, compresi i famosi omega-3 e -6-... o concime organico biologico(?) con cui far nascere rrrose rrrrosse o qualunque altra cosa -OGM- nel raggio di qualche metro. I morti prossimi venturi, i "lobotomizzati", non sono essenziali alla storia, tant'è che potrebbero essere biondo ariano con occhi azzurro manichino, ma poi, quando la fantasia si concretizza, e passa attraverso la linea d'orizzonte -"il terminatore"-, che si manifesta nei mondi reali, sono sempre curti e miseri e/o, a scelta, niri e miseri. "Ci sono morti pesanti come macigni e morti leggeri come piume", e quel che li lega è il peso. Uno a cinquecentomila, come il rapporto tra "eletti(?)" ed "elettori(????)", stupidi come elettroni capaci solo di "girare attorno", in orbite o gusci finchè non li consumano. Mai che facciano una mossa fuori del comune o tentino un movimento inconsulto.
Eugenetica mascherata da modernismo
e ricerca del nuovo,
mero cambiamento apparente,
necessario a mantenere immutato,
nei secoli dei secoli, lo stesso sistema.
Dottor Balanzone: "Quei gruppi di persone se la cavano, ma nella società moderna dobbiamo essere più concentrati e specializzati. Le persone devono essere molto analitiche ed organizzate riguardo al loro tempo"
e ricerca del nuovo,
mero cambiamento apparente,
necessario a mantenere immutato,
nei secoli dei secoli, lo stesso sistema.
Dottor Balanzone: "E' più facile identificare "'a malatia" attraverso l'iperattività. Il deficit di attenzione è un po' più subdolo, ma il punto è che, a causa dei ritmi della società moderna, l'individuo deve attenersi strettamente a una routine. Di solito accade che chi soffre "'a malatia", venga identificato grazie ai propri coniugi -DELATORI!-, perchè non dedicano attenzione al loro "partner" oppure non riescono a concentrarsi -sono solo contratti, come il ghigno raggelato della "gente"- nella routine di tutti i giorni e per questo cambiano lavoro.
Paziente: "alla fine quel che davvero mi chiedo è: 'cosa è cambiato?', perchè questa cosa proprio adesso? Sono sempre stati questi i miei problemi oppure è successo qualcosa che ha favorito il tutto. Qualcosa che in famiglia, mentre crescevo, ha favorito le cose? In gran parte riguarda la "struttura". Ho completamente perso la capacità di strutturare la mia vita. E' stato davvero difficile perchè ho fatto si che il mio cervello... morisse... è così che mi sento.
Dottor Balanzone: "Quei gruppi di persone se la cavano, ma nella società moderna dobbiamo essere più concentrati e specializzati. Le persone devono essere molto analitiche ed organizzate riguardo al loro tempo"
Paziente: "Dopo la diagnosi è successo una cosa del genere, devi essere consapevole dei cambiamenti che è necessario fare. All'epoca mi stavano accadendo mote cose nuove. Avevo lasciato il lavoro, cominciato a studiare, mi ero trasferita dall'Iowa a New York, tante cose... non riuscivo a fermarmi... e sentire che nella mia vita ci fosse una routine... ma immagino che la mia dottoressa... lei aveva suggerito di darmi una disciplina.
punto 1. il paradigma neoliberista, oramai indistinguibile dal capitalismo, tramite la concorrenza annulla le differenze. Le cose possono essere realizzate in un solo modo. C'è un "migliore", il più bravo il più "adatto" nel senso "calcolatore", economicamente "efficiente", tutto il resto è annullato.
punto 2. L'equivalente biologico è un fenotipo particolare, quello che assomiglia alle macchine, molto bravo in matematica, versato in tutte le discipline scie... scie... sciiiiiiientifiche, capace di organizzare in maniera efficiente ed estremamente organizzato il suo tempo secondo il modello dell'omologazione consumista. Tutti gli altri fenotipi devono adeguarsi a questo, modificandosi fin nell'intimo, perfino la sua stessa anima (quanto aveva visto lungo P.P.Pasolini!) .
punto 3. questo paradigma ha trovato in una "disciplina" -non scienza, perche la psichiatria non è una scienza- particolare il suo strumento attuativo. La Psichiatria e la psicologia insieme all'industria farmaceutica, in cambio di enormi profitti, forgiano gli strumenti per modellare "l'uomo nuovo", tutto ciò che non è conforme a quello che potremmo chiamare il prototipo "calcolatore", tramite psicofarmaci che "aiutano" a costruire una "nuova personalità" predisposta al calcolo e alla routine e ad uccidere quella deviante originaria. Non avremo più "geni" come A. Einstein, P. Picasso, D. Pennac ecc. in compenso avremo perfette macchine da inserire nelle fabbriche capaci di massimizzare produzione e consumo secondo l'adagio: "nasci, consuma, crepa".
Necessità impellenti.
Ribellarsi diventa una misura di igiene mentale come l'anarchia;
bisogna deistituzionalizzare l'intera società e con essa neutralizzare il controllo insito nella istituzionalizzazione;
fondare una nuova ipotesi strategica capace di riunificare le forze genuinamente rivoluzionarie.
Necessità impellenti.
bisogna deistituzionalizzare l'intera società e con essa neutralizzare il controllo insito nella istituzionalizzazione;
fondare una nuova ipotesi strategica capace di riunificare le forze genuinamente rivoluzionarie.
giovedì 26 giugno 2014
Acca niscuno e fesso.
Si mormora, con malcelato malumore,
l'adesione di Fausto, o di quell'altro
di sINISTRA uNITA et altri
a Fondi Comuni o ad altre
"opzioni" finanziarie,
più o meno spregiuticate,
in paradisi più o meno fiscali...
poverini, ma cosa dovrebbero fare?
"QUANDO E' GUERRA E' GUERRA PER TUTTI".
martedì 24 giugno 2014
http://youtu.be/Zabmn3sLFJc
Perché?, Perché?, Perché sono monello?
Perché?, Perché?, Perché son senza cuore né cervello?
Perché son libero e giocondo ?
Perché?, Perché son nato giramondo?.
Perché?, Perché non vuole andare a scuola?
Perché?, Perché dai libri non imparo una parola?
Perché? la vita e tanto bella e pur si sa: non tutto il mondo balla,
A tutti questi 100 e più perché? Perché? Io cerco una risposta anche per te
e urlano,strillano, corrono, mi vogliono ubbidiente, docile finto
e come un burattino mi vorrebbero guidar,
è vietato schiamazzar è proibito brontolar il bambino ha da ubbidir, fare i compiti e studiar.
Lo so, lo so, lo so sono un monello,
lo so, lo so, lo so son senza cuore né cervello,
lo so, son proprio un giramondo e pur non so spiegare a questo mondo,
io scappo e mi ribello, sai perché? Perché?
Perché sono un bambino come te!
E spiegalo, diglielo, cantalo, che scoppi il finimondo
urlalo, strillalo, la vita è tanto bella e la vorrei goder
basta poco per campar, che m’importa di studiar non si può solo ubbidir, voglio vivere e capir.
Lo so, lo so, lo so sono un monello,
lo so, lo so, lo so……….
Perché?, Perché?, Perché son senza cuore né cervello?
Perché son libero e giocondo ?
Perché?, Perché son nato giramondo?.
Perché?, Perché non vuole andare a scuola?
Perché?, Perché dai libri non imparo una parola?
Perché? la vita e tanto bella e pur si sa: non tutto il mondo balla,
A tutti questi 100 e più perché? Perché? Io cerco una risposta anche per te
e urlano,strillano, corrono, mi vogliono ubbidiente, docile finto
e come un burattino mi vorrebbero guidar,
è vietato schiamazzar è proibito brontolar il bambino ha da ubbidir, fare i compiti e studiar.
Lo so, lo so, lo so sono un monello,
lo so, lo so, lo so son senza cuore né cervello,
lo so, son proprio un giramondo e pur non so spiegare a questo mondo,
io scappo e mi ribello, sai perché? Perché?
Perché sono un bambino come te!
E spiegalo, diglielo, cantalo, che scoppi il finimondo
urlalo, strillalo, la vita è tanto bella e la vorrei goder
basta poco per campar, che m’importa di studiar non si può solo ubbidir, voglio vivere e capir.
Lo so, lo so, lo so sono un monello,
lo so, lo so, lo so……….
http://youtu.be/YR5ApYxkU-U
We don’t need no education.
We don’t need no thought control.
No dark sarcasm in the classroom.
Teacher, leave those kids alone.
Hey, Teacher, leave those kids alone!
All in all it’s just another brick in the wall.
All in all you’re just another brick in the wall.
We don’t need no education.
We don’t need no thought control.
No dark sarcasm in the classroom.
Teachers, leave those kids alone.
Hey, Teacher, leave those kids alone!
All in all you’re just another brick in the wall.
All in all you’re just another brick in the wall
We don’t need no thought control.
No dark sarcasm in the classroom.
Teacher, leave those kids alone.
Hey, Teacher, leave those kids alone!
All in all it’s just another brick in the wall.
All in all you’re just another brick in the wall.
We don’t need no education.
We don’t need no thought control.
No dark sarcasm in the classroom.
Teachers, leave those kids alone.
Hey, Teacher, leave those kids alone!
All in all you’re just another brick in the wall.
All in all you’re just another brick in the wall
martedì 17 giugno 2014
Tolleranza
Comprendo intimamente "i globocrati",
cioè i leader dei maggiori istituti finanziari del
mondo;
i leader delle multinazionali;
lo stuolo di pensatori, tecnocrati,
politici e lacchè al soldo dei primi...
componente organica anfibia intrinsecamente connessa,
ma quel che non riesco a tollerare,
sono le vittime designate
che si schierano
dalla parte dei carnefici,
esseri schifosi e vili,
assimilabili alle forme più
infime delle specie viventi,
i, metaforicamente parlando,
"guardoni" del calcio,
quelli che incontri nei bar,
quelli che "facendo il tifo" sugli spalti o,
addirittura, dall'altra parte della barricata,
ripetono a pappagallo
quel che sentono o leggono (poco)
dagli strumenti di comunicazione di massa
senza alcun processo di verifica critica;
non necessariamente "ignoranti",
sempre "smarriti" e pronti al "cambiamento",
alla ricerca di "volti nuovi" o "giovani più giovani"
o hanno, per un fatto, direi, genetico
alla ricerca di "volti nuovi" o "giovani più giovani"
o hanno, per un fatto, direi, genetico
scarsa consapevolezza
e sono contenti di essere inculati
e massacrati continuamente e scientificamente
a intervalli regolari scanditi da
strumenti di altissima precisione...
persone (?) senza dignità
che nascono dagli alberi e dei quali
non c'è alcun bisogno o giustificazione.
Ebbene nella classificazione tra:
"cervello",
"cuore",
"arti"
e "organi più o meno digestivi"
è bene che stiano sotto i piedi,
in attesa che qualcuno li offra in "olocausto"...
La possibilità di diventare uomini liberi,
bisogna guadagnarsela faticando ogni istante,
soprattutto in uno spazio/tempo in cui
è concessa una sola modalità di realizzazione
attraverso il modello della omologazione consumistica.
La possibilità di diventare uomini liberi,
bisogna guadagnarsela faticando ogni istante,
soprattutto in uno spazio/tempo in cui
è concessa una sola modalità di realizzazione
attraverso il modello della omologazione consumistica.
lunedì 16 giugno 2014
http://youtu.be/uQw9KVeLcr4
...e dove è la novità?
un'idea, e la politica è un grumo di idee, un'ammasso senza corrispondenza, un supermercato per i matti, un coagulo di fili slegati, è solo una sovrastruttura e non può mai cambiare la vita reale.
"Modello Giuditta"
http://youtu.be/aEbaQVHDta4
Lo scoiattolo del pensiero aveva ragione e nel saggio sulla moda non fa altro che sottoporre ad analisi il permeare la sovrastruttura dal valore di scambio.