lunedì 26 novembre 2012

logica del cento, ovvero ricetta per la felicità
Ho un solo sogno: avere per soffritto il cielo!
Avevano ragione i Maya!
Ad un certo punto della storia i Maya abbandonarono le grandi città e si raggrupparono in agglomerati più piccoli, pur mantenendo, tra questi, stretti contatti, pur continuando a mantenere una visione d'insieme. I Maya avevano capito che non hanno senso i grandi agglomerati... semplicemente non sono a misura d'uomo. Il premio nobel H. Simon, con un migliaio di anni di ritardo, nella sua "Teoria dell'organizzazione", seppur incidentalmente, ribadisce un concetto simile. Oltre le 100 unità una organizzazione (intesa in senso lato), qualsiasi organizzazione, si frammenta in sotto organizzazioni. Il cervello sembra avere un limite nella capacità di intrattenere e gestire continuativamente rapporti con alte entità, più o meno intelligenti, e questo limite sembra essere 100. 100 deve essere un numero magico, ma cosa rappresenta? Sembra un numero scolpito a fuoco vivo nel cervello umano. Sembra avere a che fare con la dimensionalità, genetica, della mente umana. 100, le dieci dita di dieci uomini, a ben pensarci, non è altro che il numero degli agglomerati primitivi... le "tribù primitive" a cui il cervello umano sembra biologicamente e geneticamente legato in maniera inscindibile. È per questo che sembra possibile dire che l'uomo non è un "animale sociale", ma un "animale a socialità limitata". Vivere in comunità "idealmente poco numerose" radicate sul territorio al punto da essere indistinguibili da esso e condividerne le sorti, è un elemento di benessere per gli uomini, ma non l'unico. Occorre che questi agglomerati si "sintonizzino" su una comune lunghezza d'onda, riproducano quello che nel Film "Avatar" è il legame che i singoli individui, attraverso un'"appendice" sinaptica, avevano con il "resto del mondo". Solo così è possibile dire "niente per me, tutto per noi", e bene fanno gli Indios del Chapas a tentare di far capire a dei sanguinari ignoranti senza speranza che è necessario, per il bene dell'umanità e del pianeta pensarsi non come individui, ma come collettività. Tutto, in questo segmento di umanità và in questa direzione. Anche il "subcomandante" - e a partire proprio da SUB- Marcos che non mostra nemmeno il volto, perchè non vuole che si confondano il piano individuale e collettivo e che lui rappresenta solo ed esclusivamente il secondo, anzi è definito, come entità individuale proprio nella dimensione collettiva. È così e solo così, accoppiando questi due elementi, che gli uomini possono sperare in uno spicchio di vita dignitosa e felice, facendo in modo che le singolarità siano espressione, esattamente, della vita collettiva, senza che questo significhi costrizione. Esiste una dimensione in cui tutto ciò è possibile, ma questa dimensione è preclusa agli "occidentali", le famose e famigerate società sviluppate, -una "nuova, inedita" specie di "paradiso perduto"- i cui membri vivono da troppo tempo nella fogna dell'individualismo che è stata capace di eliminare in maniera definitiva ed irreversibile i legami di comunità. Il vivere tappati dentro buchi maleodoranti, uno a fianco dell'altro senza sapere nulla l'uno dell'altro, è un potente acido, capace di corrompere perfino i metalli più duri e preconfigurare l'unica società compatibile con un individuo isolato, abbrutito, psicotico: la società dei serial-killer di massa, dei "distruttori" in senso lato... distruttori di se stessi, degli altri, del mondo circostante.