P.P.Pasolini, uno da tenere d'occhio e su cui riflettere.
tutto ciò
che è fallito, aveva possibilità e speranza di riuscire;
tutto ciò che è riuscito, quello che ha retto "la prova della storia", è miseramente fallito.
Non
condivido il pensiero di Pasolini, e rimango sempre attonito quando
penso alle sue intuizioni, vere, profonde, fulminanti e l'apparato
"teorico" che le ha generate. Mi lascia sgomento il suo guardare
indietro al periodo dell'"età del pane", come se quel momento
particolare -confuso con una specie di "età dell'oro"- non fosse
comunque un prodotto sociale storicamente determinato. Mi fa nascere
pensieri terribili il suo nero pessimismo, rivolto soltanto verso il
"passato", un unico "scenario"... tra tutti i miliardi che si sono
generati ed alternati nel corso del tempo. Mi terrorizza -data la sua
enorme sensibilità e capacità di comprendere e "catturare" la "realtà"-
la sua totale assenza di speranza. Pasolini non lascia nessuna
possibilità al mondo, e in questo senso è più cristiano che marxista.
Risale infatti direttamente alla tradizione cristiana: "tutto ciò che è
fallito aveva possibilità e speranza di riuscire; tutto ciò che è
riuscito, quello che ha retto la "prova della storia", è miseramente
fallito".
A fronte di un "quadro teorico, tutto sommato, modesto" profondissime intuizioni. Tra le sue innumerevoli intuizioni ce n'è una che, sembra, particolarmente illuminante: La mutazione e mutilazione antropologica indotta dal "consumismo". Una perla tra i porci passata praticamente inosservata.
A fronte di un "quadro teorico, tutto sommato, modesto" profondissime intuizioni. Tra le sue innumerevoli intuizioni ce n'è una che, sembra, particolarmente illuminante: La mutazione e mutilazione antropologica indotta dal "consumismo". Una perla tra i porci passata praticamente inosservata.
Da “na specie de cadavere lunghissimo”.
… no, lui dice che rimpiango un'età
dell'oro... tu dici che rimpiango l'italietta, tutti dicono che
rimpiango qualche cosa, facendo di questo rimpianto, tra l'altro, un
valore negativo e quindi un facile bersaglio, ma quello che io
rimpiango, se si può parlare di rimpianto, mi sembra d'averlo detto
chiaramente, sia pure in versi. Ora che degli altri facciano finta di
non capire è naturale. Mi meraviglio che non voglia capire tu che
non ha motivi per farlo. Io rimpiangere l'italietta? Allora tu non
hai letto un solo verso delle ceneri di Gramsci o di Calderon, non
hai letto una sola riga dei miei romanzi, non hai visto una sola
inquadratura dei miei film... non sai niente di me. Perchè tutto ciò
che ho fatto e sono, esclude per la sua natura che io possa
rimpiangere l'italietta... l'italietta... l'italietta è piccolo
borghese, è fascista, è demoristiana, è provinciale, ai margini
della storia. La sua cultura è un umanesimo scolastico formale e
volgare e tu vuoi che io rimpianga tutto questo?
Ora per quel che mi riguarda
personalmente questa italietta è stata un paese di gendarmi che mi
ha arrestato, processato, tormentato, perseguitato, linciato per
quasi due decenni. Ora questo un giovane può non saperlo, ma tu no.
Tu no. La tragedia è che non ci sono più esseri umani. Ci sono
strane macchine, strane macchine che sbattono una contro l'altra e
noi che siamo gli intellettuali prendiamo l'orario ferroviario
dell'anno scorso o di dieci anni prima e poi diciamo: “... ma che
strano, ma quei due treni non passano di lì, ma come mai sono andati
a fracassarsi in quel modo? È qui o il macchinista è impazzito, o è
un criminale isolato oppure c'è un complotto. Ecco soprattutto il
complotto ci fa delirare, perchè ci libera da tutto il peso di
confrontarci da soli con la verità. Che bello, se mentre noi siamo
qui a parlare c'è qualcuno in cantina che sta facendo i piani per
farci fuori. È bello, è semplice, è la resistenza. Noi perdiamo
alcuni compagni e poi ci riorganizziamo, facciamo fuori un po' di
loro, un po' per uno... e lo so che quando trasmettono in televisione
"Parigi brucia" siete ancora tutti lì con le lacrime agli occhi e una
voglia matta che la storia si ripeta... bella … pulita... semplice,
io di qua, tu di là. Ma vedi nel mondo che molti di noi sognavano
c'era il padrone turpe che il cilindro, i dollari che gli colavano
dalle tasche, la vedova emancipata che chiedeva giustizia per i suoi
pargoli... il bel mondo di Brecht, ma io non ho nostalgia di quel
mondo. Io ho nostalgia della gente povera e semplice che si batteva
per abbattere quel padrone senza diventare quel padrone, perchè
erano esclusi da tutto e nessuno li aveva colonizzati. È
l'illimitato mondo contadino pre-nazionale, preindustriale,
sopravvissuto fino a pochi anni fa che io rimpiango e gli uomini di
quell'universo non vivevano un'età dell'oro, vivevano semmai quella
che qualcuno ha definito l'età del pane. Erano cioè consumatori di
beni estremamente necessari ed era questo forse che rendeva
estremamente necessaria la loro povera e precaria vita. Mentre è
chiaro che i beni superflui rendono superflua la vita. Tanto per
essere estremamente elementari, così concludiamo con
quest'argomento. Ora che io rimpianga questo universo contadino resta
comunque affar mio. Questo non mi impedisce affatto di esercitare sul
mondo attuale così com'è la mia critica. Anzi tanto più
lucidamente tanto più ne sono distaccato e quanto più accetto solo
stoicamente di viverci. Io lo so bene come è la vita di un
intellettuale, lo so, perchè in parte è anche la mia vita. Letture,
solitudini al laboratorio, cerchi, in genere, di pochi amici e molti
conoscenti, tutti intellettuali e borghesi. Una vita di lavoro e,
sostanzialmente, perbene. Ma io, come il dr. Jeckill, io ho un'altra
vita, perchè la mia vita sociale borghese si esaurisce nel lavoro,
ma la mia vita sociale in genere dipende completamente da ciò che è
la gente. E dico gente intendendo ciò che è la società, il popolo,
la massa nel momento in cui viene esistenzialmente, magari solo
visivamente a contatto con me. È da questa esperienza esistenziale,
concreta, drammatica, diretta, corporea che nascono poi in
conclusione tutti i miei discorsi ideologici. Ecco, con questa vita
io pago un prezzo. È come uno che scende all'inferno, ma quando
torno, se torno, ho visto altre cose, più cose di voi. Io non dico
che dovete credermi, però perchè cambiate sempre argomento per non
affrontare la verità? Allora voglio dirvelo fuori dai denti. Io
scendo all'inferno, e vedo cose che per ora non disturbano la vostra
pace, ma state attenti perchè l'inferno sta salendo da voi. È vero
che viene con maschere e con bandiere diverse, però è anche vero
che la sua voglia, che il suo desiderio di dare la sprangata, di
aggredire, di uccidere è forte ed è generale e non resterà per
tanto tempo l'esperienza privata e rischiosa di chi ha, come dire,
"toccato la vita violenta". Non vi illudete. Voi siete con la scuola,
la televisione, la pacatezza dei vostri giornali, voi siete i grandi
conservatori di questo ordine orrendo. Basato solo sull'idea di
possedere e sull'idea di distruggere. Beati voi che siete tutti
contenti quando potete mettere su un delitto la vostra bella
etichetta. A me sembra questa un'altra delle tante operazioni della
cultura di massa. Non potendo impedire che accadano certe cose, si
trova pace "fabbricando scaffali". Ecco in quanto trasformazione per
ora degradazione antropologica della gente per me il consumismo è
una tragedia che si manifesta in me come delusione, rabbia, taedium vitae, accidia e infine come rivolta idealistica, come rifiuto dello
status quo. Ecco lui stesso mi accusa di idealismo e questa è
un'accusa che io accetto. Questa la accetto, perchè è vera. Tu non
sai quanto io ho sempre invidiato la tua mancanza di cattivo
idealismo, tu scherzi sul fatto che la mia bestia nera sarebbe il
consumismo. Però, perdonami, questo tuo scherzare mi sembra un po'
qualunquistico, un po' riduttivo. Lo so bene, tu sei pragmaticamente
per accettare lo status quo, però io che sono idealistico no. “eh,
il consumismo c'è, che ci vogliamo fare?"... sembri volermi dire.
Allora lascia che ti risponda. Lascia che ti risponda. Tra il 1961 e
il 1975 qualcosa di essenziale è cambiato. Si è avuto un genocidio
si è distrutta culturalmente una popolazione. Si tratta precisamente
di uno di quei genocidi culturali che hanno preceduto i genocidi
fisici di Hitler. Se io avessi fatto un lungo viaggio, e fossi
tornato dopo qualche tempo, andando in giro per la grandiosa
metropoli plebea, io avrei avuto l'impressione che tutti i suoi
abitanti fossero stati deportati e sterminati... sostituiti proprio.
Nelle strade, nei lotti da slavati, feroci, infelici fantasmi. Se io
oggi volessi rigirare “Accattone”, non lo potrei più fare,
perchè non troverei più un solo giovane che fosse nel suo corpo,
nemmeno lontanamente, simile ai giovani che hanno rappresentato se
stessi in “Accattone”, non troverei più un solo giovane che
sapesse dire con quella voce quelle battute, perchè non soltanto
questo non avrebbe lo spirito e la mentalità per dirle, ma non le
capirebbe nemmeno. Una nuova forma di potere economico ha realizzato
attraverso lo sviluppo una fittizia forma di progresso e tolleranza e
i giovani che sono nati e si sono formati in questo periodo di falso
progressismo e falsa tolleranza, stanno pagando questa falsità nel
modo più atroce. Eccoli qui in mezzo a noi con un'ironia imbecille
negli occhi, un'aria stupidamente sazia, un teppismo offensivo e
afasico quando non un dolore e una apprensività quasi da educande,
con cui vivono, questa reale intolleranza di questi anni di
tolleranza. Non lo so, non vedo come un amico possa scherzare su
tutto questo. Non voglio fare profezie, però non posso nascondere di
essere disperatamente pessimista. Chi ha manipolato e radicalmente,
antropologicamente, mutato le grandi masse contadine e operaie è un
nuovo potere che adesso mi è difficile definire, ma di cui, sono
certo, è il più violento e totalitario che ci sia mai stato, perchè
cambia la natura della gente. Perchè entra nel più profondo delle
coscienze e se io adesso dico POTERE con la P maiuscola è solo
perchè sinceramente non lo so in che cosa consista questo nuovo
potere e chi lo rappresenti. So semplicemente che c'è. Allora non lo
riconosco più né nei potenti democristiani, né nel vaticano, né
nelle forze armate. Non lo riconosco più neanche nella grande
industria, perchè questa non è più costituita da un certo numero
limitato di grandi industriali, però conosco, questo si, perchè le
vedo e le vivo, alcune caratteristiche di questo nuovo potere ancora
senza volto. Ad es. il suo rifiuto del vecchio sanfedismo e del
vecchio clericalismo, la sua decisione di abbandonare la chiesa, la
sua determinazione cononata da successo di trasformare contadini e
sottoproletari in piccoli borghesi, ma soprattutto la sua smania, per
così dire cosmica, di attuare fino in fondo lo “SVILUPPO”.
PRODURRE E CONSUMARE... PRODURRE E CONSUMARE. Ecco l'identikit di
questo volto ancora bianco del nuovo potere gli attribuisce anche dei
tratti vagamente moderni dovuti alla tolleranza e ad un edonismo
perfettamente autosufficienti, ma anche dei tratti feroci e
sostanzialmente repressivi. La tolleranza infatti è falsa, perchè
mai nessun uomo ha dovuto essere tanto comune e conformista come il
consumatore e quanto all'edonismo esso nasconde evidentemente una
necessità a preordinare tutto con una spietatezza che la storia non
ha mai conosciuto. Ecco questo nuovo potere non ancora rappresentato
da nessuno e dovuto a una mutazione della classe dominante, è, se
proprio vogliamo conservare la vecchia terminologia, una forma totale
di fascismo e questo nuovo fascismo ha anche omologato culturalmente
l'Italia e si tratta di una omologazione repressiva, pure se ottenuta
attraverso l'edonismo e la Joie de vivre. Io credo, e lo credo
profondamente, che il vero fascismo sia quello che i sociologi hanno
troppo bonariamente definito la “società dei consumi”. Una
definizione che sembra innocua, no, puramente indicativa, invece no,
se uno osserva bene la realtà, ma soprattutto se uno sa “leggere
intorno”, negli oggetti, nel paesaggio, nell'urbanistica, ma
soprattutto negli uomini, vede che i risultati di questa spensierata
“società dei consumi” sono i risultati di una vera e propria
dittatura, di un vero e proprio fascismo. Durante il ventennio noi
abbiamo visto dei giovani inquadrati, in divisa, con una differenza
però, allora i giovani, nel momento stesso in cui si toglievano
quella divisa e riprendevano la strada verso i loro paesi e i loro
campi ritornavano i giovani di 50, 100 anni addietro, perchè il
fascismo li aveva in realtà resi dei pagliacci, dei servi, forse e in
parte anche convinti, ma non li aveva toccati sul serio, nel fondo
dell'anima. Questo nuovo fascismo, invece, questa società dei
consumi, ha profondamente trasformato i giovani, ha dato loro altri
sentimenti, altri modi di vivere, di pensare, altri modelli
culturali. Non si tratta più, come all'epoca mussoliniana di una
irregimentazione scenografica e superficiale, ma di una
irregimentazione reale che ha rubato e cambiato la loro anima. Il che
significa in definitiva che questa società dei consumi è una
civiltà dittatoriale.
La responsabilità della televisione in
tutto questo è enorme. Non certo in quanto mezzo tecnico, ma in
quanto strumento del potere e potere essa stessa. Essa non è
soltanto il luogo attraverso cui passano i messaggi, ma è un centro
elaboratore di messaggi. È il luogo dove si fa concreta una mentalità
che non si saprebbe dove collocare.
È attraverso lo spirito della
televisione che si manifesta in realtà lo spirito del nuovo potere e
se a livello della volontà e della consapevolezza la televisione in
tutti questi anni è stata al servizio della democrazia cristiana e
del vaticano a livello involontario e inconsapevole essa è stata al
servizio di un nuovo potere che non coincide più ideologicamente con
la democrazia cristiana e del vaticano non sa più che farsene. Mai
un modello di vita ha potuto essere propagandato con tanta efficacia
come attraverso la televisione. Il tipo di uomo o di donna che conta,
che è moderno, che è da imitare e realizzare non è descritto o
decantato. È rappresentato. Il linguaggio della televisione è per
sua natura un linguaggio fisico-mimico, il linguaggio del
comportamento. Ora la proposizione prima di questo linguaggio
fisico-mimico e la seguente: “il potere ha deciso che noi siamo
tutti uguali”, mai la diversità è stata una colpa così
spaventosa come in questo periodo di tolleranza. L'uguaglianza non è
stata conquistata, è una falsa uguaglianza ricevuta in regalo.
Allora non c'è dubbio che la televisione sia autoritaria e
repressiva come mai nessun mezzo di informazione al mondo. Il giornale
fascista o le scritte sui cascinali di slogano mussoliniani fanno
ridere come, con dolore, un aratro rispetto a un trattore. Il fascismo, lo
voglio ripetere, non è stato, sostanzialmente, in grado nemmeno di
scalfire l'anima del popolo italiano. Questo nuovo fascismo invece
attraverso i propri mezzi di comunicazione e di informazione, specie
appunto la televisione, non solo l'ha scalfita, ma l'ha lacerata,
violata, bruttata per sempre. Ecco perchè i potenti che si muovono
dentro al palazzo e anche coloro che li descrivono, stando anch'essi,
logicamente, dentro al palazzo, per poterlo fare si muovono come
atroci, ridicoli pupazzeschi idoli mortuari, perchè ciò che faceva
la loro potenza, ossia un certo modo di essere del popolo italiano non
c'è più. Il loro vivere è dunque un sussultare burattinesco. La
colpevolezza di almeno una dozzina di potenti democristiani da
trascinare sul banco degli imputati in un regolare processo penale per
una lunga serie di reati commessi non consiste nella loro immoralità,
che c'è, ma consiste in un errore di interpretazione politico. Nel
giudicare se stessi e il nuovo potere di cui si erano messi al
servizio. Errore di interpretazione politico che ha avuto
conseguenze disastrose sulla vita del nostro paese. Allora quello
che è il processo che io invoco renderebbe chiaro, folgorante e
definitivo è che il contesto in cui governare non è più quello
clerico-fascista e che proprio nel non aver capito questo sta il vero
reato politico dei democristiani. Ciò che il processo che io invoco
renderebbe chiaro, folgorante e definitivo è che amministrare e
governare bene non significa più amministrare e governare bene in
relazione al vecchio potere, ma in relazione al nuovo potere. Ma se è
vero che i potenti democristiani sono stati lasciati indietro dalla
realtà, con indosso come una ridicola maschera il loro potere
clerico-fascista anche gli uomini all'opposizione sono stati lasciati
un po' indietro dalla realtà con indosso come una ridicola maschera
il loro progressismo e la loro tolleranza. Ad esempio uno dei luoghi
comuni tipici dell'intellettuale di sinistra è la loro volontà di
sconsacrare, di desentimentalizzare la vita. Ora questo si spiega nei
vecchi intellettuali progressisti con il fatto che sono stati educati
in una società che imponeva loro false sacralità e falsi sentimenti
e quindi era una reazione giusta, ma oggi questo nuovo potere non
impone più questa falsa sacralità e questi falsi sentimenti anzi è
lui stesso il primo a volersene liberare. Il nuovo potere consumistico
e permissivo si è valso proprio delle nostre conquiste mentali
di laici, di illuministi e di razionalisti per costruire la propria
falsa impalcatura di falso laicismo, di falso illuminismo, di falsa
razionalità. Si è valso proprio delle nostre sconsacrazioni per
liberarsi di un passato che con tutte le sua atroci e idiote
consacrazioni non gli serve più. In compenso però questo nuovo
potere ha portato al limite massimo la sua unica possibile sacralità.
La sacralità del consumo come rito e naturalmente della merce come
feticcio. Il nuovo potere non ha più interesse a mascherare con
religioni ideali o cose del genere ciò che Marx aveva smascherato.
Nei casi nè migliori nè peggiori sono milioni. Essi non hanno espressione alcuna, sono l'ambiguità fatta carne. I loro occhi sfuggono, il loro sguardo è perpetuamente altrove. Hanno troppo rispetto o troppo disprezzo insieme, troppa pazienza o troppa impazienza. nei casi peggiori sono dei veri e propri criminali, ma quanti sono questi criminali. In realtà potrebbero esserlo quasi tutti. Non c'è gruppo di ragazzi incontrati per strada che non potrebbe essere un gruppo di criminali. Essi non hanno nessuna luce negli occhi. Il loro silenzio può procedere una trepida domanda di aiuto, ma che aiuto, o una coltellata. I loro lineamenti sono lineamenti contraffatti di automi senza che niente li caratterizzi da dentro. La stereotipia li rende infidi. Essi non hanno più padronanza dei loro atti, si direbbe dei loro muscoli, non sanno più quale è la distanza tra causa ed effetto. Sono regrediti sotto l'aspetto esteriore di una maggiore educazione scolastica e di una migliorata condizione di vita a una rozzezza primitiva. Se da una parte parlano meglio, ossia hanno imparato il degradante italiano medio, dall'altra sono quasi afasici, non sanno ridere o sorridere. Sanno solo ghignare o sghignazzare. Certo i gruppi di giovani colti del resto assai più numerosi di un tempo sono adorabili perchè strazianti. Essi a causa di circostanze che per le grandi masse sono finora solo negative e atrocemente negative sono più avanzati, sottili, informati dei gruppi analoghi di 10 o 20 anni fa, ma che cosa possono farsene della loro finezza e della loro cultura."
A Chi Fischiano Le Orecchie?
"Io ho qualcosa di generale, immenso, di oscuro da rimproverare ai
figli. I figli che ci circondano, soprattutto i più giovani, gli
adolescenti sono quasi tutti dei mostri. Il loro aspetto fisico è quasi
terrorizzante e quando non terrorizzante è fastidiosamente infelice.
Orribili pelami, capigliature, carnagioni pallide, occhi spenti. Sono
maschere di una qualche iniziazione barbarica, ma squallidamente
barbarica. Oppure sono maschere di una qualche integrazione incosciente e
diligente che non fa pietà. Dopo avere levato verso i padri barriere
tendenti a relegare i padri nel ghetto, si sono trovati essi stessi
chiusi nel ghetto opposto, nei casi migliori essi stanno aggrappati ai
fili spinati di quel ghetto guardando verso di noi tuttavia uomini
disperati, mendicanti che chiedono qualcosa soltanto con lo sguardo
perchè non hanno coraggio nè, forse, capacità per parlare.Nei casi nè migliori nè peggiori sono milioni. Essi non hanno espressione alcuna, sono l'ambiguità fatta carne. I loro occhi sfuggono, il loro sguardo è perpetuamente altrove. Hanno troppo rispetto o troppo disprezzo insieme, troppa pazienza o troppa impazienza. nei casi peggiori sono dei veri e propri criminali, ma quanti sono questi criminali. In realtà potrebbero esserlo quasi tutti. Non c'è gruppo di ragazzi incontrati per strada che non potrebbe essere un gruppo di criminali. Essi non hanno nessuna luce negli occhi. Il loro silenzio può procedere una trepida domanda di aiuto, ma che aiuto, o una coltellata. I loro lineamenti sono lineamenti contraffatti di automi senza che niente li caratterizzi da dentro. La stereotipia li rende infidi. Essi non hanno più padronanza dei loro atti, si direbbe dei loro muscoli, non sanno più quale è la distanza tra causa ed effetto. Sono regrediti sotto l'aspetto esteriore di una maggiore educazione scolastica e di una migliorata condizione di vita a una rozzezza primitiva. Se da una parte parlano meglio, ossia hanno imparato il degradante italiano medio, dall'altra sono quasi afasici, non sanno ridere o sorridere. Sanno solo ghignare o sghignazzare. Certo i gruppi di giovani colti del resto assai più numerosi di un tempo sono adorabili perchè strazianti. Essi a causa di circostanze che per le grandi masse sono finora solo negative e atrocemente negative sono più avanzati, sottili, informati dei gruppi analoghi di 10 o 20 anni fa, ma che cosa possono farsene della loro finezza e della loro cultura."