venerdì 13 luglio 2012

P.P.Pasolini, uno da tenere d'occhio e su cui riflettere.
tutto ciò che è fallito, aveva possibilità e speranza di riuscire; tutto ciò che è riuscito,  quello che ha retto "la prova della storia", è miseramente fallito.
Non condivido il pensiero di Pasolini, e rimango sempre attonito quando penso alle sue intuizioni, vere, profonde, fulminanti e l'apparato "teorico" che le ha generate. Mi lascia sgomento il suo guardare indietro al periodo dell'"età del pane", come se quel momento particolare -confuso con una specie di "età dell'oro"- non fosse comunque un prodotto sociale storicamente determinato. Mi fa nascere pensieri terribili il suo nero pessimismo, rivolto soltanto verso il "passato", un unico "scenario"... tra tutti i miliardi che si sono generati ed alternati nel corso del tempo. Mi terrorizza -data la sua enorme sensibilità e capacità di comprendere e "catturare" la "realtà"- la sua totale assenza di speranza. Pasolini non lascia nessuna possibilità al mondo, e in questo senso è più cristiano che marxista. Risale infatti direttamente alla tradizione cristiana: "tutto ciò che è fallito aveva possibilità e speranza di riuscire;  tutto ciò che è riuscito, quello che ha retto la "prova della storia", è miseramente fallito".
A fronte di un "quadro teorico, tutto sommato, modesto" profondissime intuizioni. Tra le sue innumerevoli intuizioni ce n'è una che, sembra, particolarmente illuminante: La mutazione e mutilazione antropologica indotta dal "consumismo". Una perla tra i porci passata praticamente inosservata.


Da “na specie de cadavere lunghissimo”.
… no, lui dice che rimpiango un'età dell'oro... tu dici che rimpiango l'italietta, tutti dicono che rimpiango qualche cosa, facendo di questo rimpianto, tra l'altro, un valore negativo e quindi un facile bersaglio, ma quello che io rimpiango, se si può parlare di rimpianto, mi sembra d'averlo detto chiaramente, sia pure in versi. Ora che degli altri facciano finta di non capire è naturale. Mi meraviglio che non voglia capire tu che non ha motivi per farlo. Io rimpiangere l'italietta? Allora tu non hai letto un solo verso delle ceneri di Gramsci o di Calderon, non hai letto una sola riga dei miei romanzi, non hai visto una sola inquadratura dei miei film... non sai niente di me. Perchè tutto ciò che ho fatto e sono, esclude per la sua natura che io possa rimpiangere l'italietta... l'italietta... l'italietta è piccolo borghese, è fascista, è demoristiana, è provinciale, ai margini della storia. La sua cultura è un umanesimo scolastico formale e volgare e tu vuoi che io rimpianga tutto questo?
Ora per quel che mi riguarda personalmente questa italietta è stata un paese di gendarmi che mi ha arrestato, processato, tormentato, perseguitato, linciato per quasi due decenni. Ora questo un giovane può non saperlo, ma tu no. Tu no. La tragedia è che non ci sono più esseri umani. Ci sono strane macchine, strane macchine che sbattono una contro l'altra e noi che siamo gli intellettuali prendiamo l'orario ferroviario dell'anno scorso o di dieci anni prima e poi diciamo: “... ma che strano, ma quei due treni non passano di lì, ma come mai sono andati a fracassarsi in quel modo? È qui o il macchinista è impazzito, o è un criminale isolato oppure c'è un complotto. Ecco soprattutto il complotto ci fa delirare, perchè ci libera da tutto il peso di confrontarci da soli con la verità. Che bello, se mentre noi siamo qui a parlare c'è qualcuno in cantina che sta facendo i piani per farci fuori. È bello, è semplice, è la resistenza. Noi perdiamo alcuni compagni e poi ci riorganizziamo, facciamo fuori un po' di loro, un po' per uno... e lo so che quando trasmettono in televisione "Parigi brucia" siete ancora tutti lì con le lacrime agli occhi e una voglia matta che la storia si ripeta... bella … pulita... semplice, io di qua, tu di là. Ma vedi nel mondo che molti di noi sognavano c'era il padrone turpe che il cilindro, i dollari che gli colavano dalle tasche, la vedova emancipata che chiedeva giustizia per i suoi pargoli... il bel mondo di Brecht, ma io non ho nostalgia di quel mondo. Io ho nostalgia della gente povera e semplice che si batteva per abbattere quel padrone senza diventare quel padrone, perchè erano esclusi da tutto e nessuno li aveva colonizzati. È l'illimitato mondo contadino pre-nazionale, preindustriale, sopravvissuto fino a pochi anni fa che io rimpiango e gli uomini di quell'universo non vivevano un'età dell'oro, vivevano semmai quella che qualcuno ha definito l'età del pane. Erano cioè consumatori di beni estremamente necessari ed era questo forse che rendeva estremamente necessaria la loro povera e precaria vita. Mentre è chiaro che i beni superflui rendono superflua la vita. Tanto per essere estremamente elementari, così concludiamo con quest'argomento. Ora che io rimpianga questo universo contadino resta comunque affar mio. Questo non mi impedisce affatto di esercitare sul mondo attuale così com'è la mia critica. Anzi tanto più lucidamente tanto più ne sono distaccato e quanto più accetto solo stoicamente di viverci. Io lo so bene come è la vita di un intellettuale, lo so, perchè in parte è anche la mia vita. Letture, solitudini al laboratorio, cerchi, in genere, di pochi amici e molti conoscenti, tutti intellettuali e borghesi. Una vita di lavoro e, sostanzialmente, perbene. Ma io, come il dr. Jeckill, io ho un'altra vita, perchè la mia vita sociale borghese si esaurisce nel lavoro, ma la mia vita sociale in genere dipende completamente da ciò che è la gente. E dico gente intendendo ciò che è la società, il popolo, la massa nel momento in cui viene esistenzialmente, magari solo visivamente a contatto con me. È da questa esperienza esistenziale, concreta, drammatica, diretta, corporea che nascono poi in conclusione tutti i miei discorsi ideologici. Ecco, con questa vita io pago un prezzo. È come uno che scende all'inferno, ma quando torno, se torno, ho visto altre cose, più cose di voi. Io non dico che dovete credermi, però perchè cambiate sempre argomento per non affrontare la verità? Allora voglio dirvelo fuori dai denti. Io scendo all'inferno, e vedo cose che per ora non disturbano la vostra pace, ma state attenti perchè l'inferno sta salendo da voi. È vero che viene con maschere e con bandiere diverse, però è anche vero che la sua voglia, che il suo desiderio di dare la sprangata, di aggredire, di uccidere è forte ed è generale e non resterà per tanto tempo l'esperienza privata e rischiosa di chi ha, come dire, "toccato la vita violenta". Non vi illudete. Voi siete con la scuola, la televisione, la pacatezza dei vostri giornali, voi siete i grandi conservatori di questo ordine orrendo. Basato solo sull'idea di possedere e sull'idea di distruggere. Beati voi che siete tutti contenti quando potete mettere su un delitto la vostra bella etichetta. A me sembra questa un'altra delle tante operazioni della cultura di massa. Non potendo impedire che accadano certe cose, si trova pace "fabbricando scaffali". Ecco in quanto trasformazione per ora degradazione antropologica della gente per me il consumismo è una tragedia che si manifesta in me come delusione, rabbia, taedium vitae, accidia e infine come rivolta idealistica, come rifiuto dello status quo. Ecco lui stesso mi accusa di idealismo e questa è un'accusa che io accetto. Questa la accetto, perchè è vera. Tu non sai quanto io ho sempre invidiato la tua mancanza di cattivo idealismo, tu scherzi sul fatto che la mia bestia nera sarebbe il consumismo. Però, perdonami, questo tuo scherzare mi sembra un po' qualunquistico, un po' riduttivo. Lo so bene, tu sei pragmaticamente per accettare lo status quo, però io che sono idealistico no. “eh, il consumismo c'è, che ci vogliamo fare?"... sembri volermi dire. Allora lascia che ti risponda. Lascia che ti risponda. Tra il 1961 e il 1975 qualcosa di essenziale è cambiato. Si è avuto un genocidio si è distrutta culturalmente una popolazione. Si tratta precisamente di uno di quei genocidi culturali che hanno preceduto i genocidi fisici di Hitler. Se io avessi fatto un lungo viaggio, e fossi tornato dopo qualche tempo, andando in giro per la grandiosa metropoli plebea, io avrei avuto l'impressione che tutti i suoi abitanti fossero stati deportati e sterminati... sostituiti proprio. Nelle strade, nei lotti da slavati, feroci, infelici fantasmi. Se io oggi volessi rigirare “Accattone”, non lo potrei più fare, perchè non troverei più un solo giovane che fosse nel suo corpo, nemmeno lontanamente, simile ai giovani che hanno rappresentato se stessi in “Accattone”, non troverei più un solo giovane che sapesse dire con quella voce quelle battute, perchè non soltanto questo non avrebbe lo spirito e la mentalità per dirle, ma non le capirebbe nemmeno. Una nuova forma di potere economico ha realizzato attraverso lo sviluppo una fittizia forma di progresso e tolleranza e i giovani che sono nati e si sono formati in questo periodo di falso progressismo e falsa tolleranza, stanno pagando questa falsità nel modo più atroce. Eccoli qui in mezzo a noi con un'ironia imbecille negli occhi, un'aria stupidamente sazia, un teppismo offensivo e afasico quando non un dolore e una apprensività quasi da educande, con cui vivono, questa reale intolleranza di questi anni di tolleranza. Non lo so, non vedo come un amico possa scherzare su tutto questo. Non voglio fare profezie, però non posso nascondere di essere disperatamente pessimista. Chi ha manipolato e radicalmente, antropologicamente, mutato le grandi masse contadine e operaie è un nuovo potere che adesso mi è difficile definire, ma di cui, sono certo, è il più violento e totalitario che ci sia mai stato, perchè cambia la natura della gente. Perchè entra nel più profondo delle coscienze e se io adesso dico POTERE con la P maiuscola è solo perchè sinceramente non lo so in che cosa consista questo nuovo potere e chi lo rappresenti. So semplicemente che c'è. Allora non lo riconosco più né nei potenti democristiani, né nel vaticano, né nelle forze armate. Non lo riconosco più neanche nella grande industria, perchè questa non è più costituita da un certo numero limitato di grandi industriali, però conosco, questo si, perchè le vedo e le vivo, alcune caratteristiche di questo nuovo potere ancora senza volto. Ad es. il suo rifiuto del vecchio sanfedismo e del vecchio clericalismo, la sua decisione di abbandonare la chiesa, la sua determinazione cononata da successo di trasformare contadini e sottoproletari in piccoli borghesi, ma soprattutto la sua smania, per così dire cosmica, di attuare fino in fondo lo “SVILUPPO”. PRODURRE E CONSUMARE... PRODURRE E CONSUMARE. Ecco l'identikit di questo volto ancora bianco del nuovo potere gli attribuisce anche dei tratti vagamente moderni dovuti alla tolleranza e ad un edonismo perfettamente autosufficienti, ma anche dei tratti feroci e sostanzialmente repressivi. La tolleranza infatti è falsa, perchè mai nessun uomo ha dovuto essere tanto comune e conformista come il consumatore e quanto all'edonismo esso nasconde evidentemente una necessità a preordinare tutto con una spietatezza che la storia non ha mai conosciuto. Ecco questo nuovo potere non ancora rappresentato da nessuno e dovuto a una mutazione della classe dominante, è, se proprio vogliamo conservare la vecchia terminologia, una forma totale di fascismo e questo nuovo fascismo ha anche omologato culturalmente l'Italia e si tratta di una omologazione repressiva, pure se ottenuta attraverso l'edonismo e la Joie de vivre. Io credo, e lo credo profondamente, che il vero fascismo sia quello che i sociologi hanno troppo bonariamente definito la “società dei consumi”. Una definizione che sembra innocua, no, puramente indicativa, invece no, se uno osserva bene la realtà, ma soprattutto se uno sa “leggere intorno”, negli oggetti, nel paesaggio, nell'urbanistica, ma soprattutto negli uomini, vede che i risultati di questa spensierata “società dei consumi” sono i risultati di una vera e propria dittatura, di un vero e proprio fascismo. Durante il ventennio noi abbiamo visto dei giovani inquadrati, in divisa, con una differenza però, allora i giovani, nel momento stesso in cui si toglievano quella divisa e riprendevano la strada verso i loro paesi e i loro campi ritornavano i giovani di 50, 100 anni addietro, perchè il fascismo li aveva in realtà resi dei pagliacci, dei servi, forse e in parte anche convinti, ma non li aveva toccati sul serio, nel fondo dell'anima. Questo nuovo fascismo, invece, questa società dei consumi, ha profondamente trasformato i giovani, ha dato loro altri sentimenti, altri modi di vivere, di pensare, altri modelli culturali. Non si tratta più, come all'epoca mussoliniana di una irregimentazione scenografica e superficiale, ma di una irregimentazione reale che ha rubato e cambiato la loro anima. Il che significa in definitiva che questa società dei consumi è una civiltà dittatoriale.
La responsabilità della televisione in tutto questo è enorme. Non certo in quanto mezzo tecnico, ma in quanto strumento del potere e potere essa stessa. Essa non è soltanto il luogo attraverso cui passano i messaggi, ma è un centro elaboratore di messaggi. È il luogo dove si fa concreta una mentalità che non si saprebbe dove collocare.
È attraverso lo spirito della televisione che si manifesta in realtà lo spirito del nuovo potere e se a livello della volontà e della consapevolezza la televisione in tutti questi anni è stata al servizio della democrazia cristiana e del vaticano a livello involontario e inconsapevole essa è stata al servizio di un nuovo potere che non coincide più ideologicamente con la democrazia cristiana e del vaticano non sa più che farsene. Mai un modello di vita ha potuto essere propagandato con tanta efficacia come attraverso la televisione. Il tipo di uomo o di donna che conta, che è moderno, che è da imitare e realizzare non è descritto o decantato. È rappresentato. Il linguaggio della televisione è per sua natura un linguaggio fisico-mimico, il linguaggio del comportamento. Ora la proposizione prima di questo linguaggio fisico-mimico e la seguente: “il potere ha deciso che noi siamo tutti uguali”, mai la diversità è stata una colpa così spaventosa come in questo periodo di tolleranza. L'uguaglianza non è stata conquistata, è una falsa uguaglianza ricevuta in regalo. Allora non c'è dubbio che la televisione sia autoritaria e repressiva come mai nessun mezzo di informazione al mondo. Il giornale fascista o le scritte sui cascinali di slogano mussoliniani fanno ridere come, con dolore, un aratro rispetto a un trattore. Il fascismo, lo voglio ripetere, non è stato, sostanzialmente, in grado nemmeno di scalfire l'anima del popolo italiano. Questo nuovo fascismo invece attraverso i propri mezzi di comunicazione e di informazione, specie appunto la televisione, non solo l'ha scalfita, ma l'ha lacerata, violata, bruttata per sempre. Ecco perchè i potenti che si muovono dentro al palazzo e anche coloro che li descrivono, stando anch'essi, logicamente, dentro al palazzo, per poterlo fare si muovono come atroci, ridicoli pupazzeschi idoli mortuari, perchè ciò che faceva la loro potenza, ossia un certo modo di essere del popolo italiano non c'è più. Il loro vivere è dunque un sussultare burattinesco. La colpevolezza di almeno una dozzina di potenti democristiani da trascinare sul banco degli imputati in un regolare processo penale per una lunga serie di reati commessi non consiste nella loro immoralità, che c'è, ma consiste in un errore di interpretazione politico. Nel giudicare se stessi e il nuovo potere di cui si erano messi al servizio. Errore di interpretazione politico che ha avuto conseguenze disastrose sulla vita del nostro paese. Allora quello che è il processo che io invoco renderebbe chiaro, folgorante e definitivo è che il contesto in cui governare non è più quello clerico-fascista e che proprio nel non aver capito questo sta il vero reato politico dei democristiani. Ciò che il processo che io invoco renderebbe chiaro, folgorante e definitivo è che amministrare e governare bene non significa più amministrare e governare bene in relazione al vecchio potere, ma in relazione al nuovo potere. Ma se è vero che i potenti democristiani sono stati lasciati indietro dalla realtà, con indosso come una ridicola maschera il loro potere clerico-fascista anche gli uomini all'opposizione sono stati lasciati un po' indietro dalla realtà con indosso come una ridicola maschera il loro progressismo e la loro tolleranza. Ad esempio uno dei luoghi comuni tipici dell'intellettuale di sinistra è la loro volontà di sconsacrare, di desentimentalizzare la vita. Ora questo si spiega nei vecchi intellettuali progressisti con il fatto che sono stati educati in una società che imponeva loro false sacralità e falsi sentimenti e quindi era una reazione giusta, ma oggi questo nuovo potere non impone più questa falsa sacralità e questi falsi sentimenti anzi è lui stesso il primo a volersene liberare. Il nuovo potere consumistico e permissivo si è valso proprio delle nostre conquiste mentali di laici, di illuministi e di razionalisti per costruire la propria falsa impalcatura di falso laicismo, di falso illuminismo, di falsa razionalità. Si è valso proprio delle nostre sconsacrazioni per liberarsi di un passato che con tutte le sua atroci e idiote consacrazioni non gli serve più. In compenso però questo nuovo potere ha portato al limite massimo la sua unica possibile sacralità. La sacralità del consumo come rito e naturalmente della merce come feticcio. Il nuovo potere non ha più interesse a mascherare con religioni ideali o cose del genere ciò che Marx aveva smascherato.


A Chi Fischiano Le Orecchie?
"Io ho qualcosa di generale, immenso, di oscuro da rimproverare ai figli. I figli che ci circondano, soprattutto i più giovani, gli adolescenti sono quasi tutti dei mostri. Il loro aspetto fisico è quasi terrorizzante e quando non terrorizzante è fastidiosamente infelice. Orribili pelami, capigliature, carnagioni pallide, occhi spenti. Sono maschere di una qualche iniziazione barbarica, ma squallidamente barbarica. Oppure sono maschere di una qualche integrazione incosciente e diligente che non fa pietà. Dopo avere levato verso i padri barriere tendenti a relegare i padri nel ghetto, si sono trovati essi stessi chiusi nel ghetto opposto, nei casi migliori essi stanno aggrappati ai fili spinati di quel ghetto guardando verso di noi tuttavia uomini disperati, mendicanti che chiedono qualcosa soltanto con lo sguardo perchè non hanno coraggio nè, forse, capacità per parlare.
Nei casi nè migliori nè peggiori sono milioni. Essi non hanno espressione alcuna, sono l'ambiguità fatta carne. I loro occhi sfuggono, il loro sguardo è perpetuamente altrove. Hanno troppo rispetto o troppo disprezzo insieme, troppa pazienza o troppa impazienza. nei casi peggiori sono dei veri e propri criminali, ma quanti sono questi criminali. In realtà potrebbero esserlo quasi tutti. Non c'è gruppo di ragazzi incontrati per strada che non potrebbe essere un gruppo di criminali. Essi non hanno nessuna luce negli occhi. Il loro silenzio può procedere una trepida domanda di aiuto, ma che aiuto, o una coltellata. I loro lineamenti sono lineamenti contraffatti di automi senza che niente li caratterizzi da dentro. La stereotipia li rende infidi. Essi non hanno più padronanza dei loro atti, si direbbe dei loro muscoli, non sanno più quale è la distanza tra causa ed effetto. Sono regrediti sotto l'aspetto esteriore di una maggiore educazione scolastica e di una migliorata condizione di vita a una rozzezza primitiva. Se da una parte parlano meglio, ossia hanno imparato il degradante italiano medio, dall'altra sono quasi afasici, non sanno ridere o sorridere. Sanno solo ghignare o sghignazzare. Certo i gruppi di giovani colti del resto assai più numerosi di un tempo sono adorabili perchè strazianti. Essi a causa di circostanze che per le grandi masse sono finora solo negative e atrocemente negative sono più avanzati, sottili, informati dei gruppi analoghi di 10 o 20 anni fa, ma che cosa possono farsene della loro finezza e della loro cultura."