Tornare ai fondamentali
"Vivere non in competizione
ma in collaborazione
con gli altri per
il miglioramento di tutti"
La rappresentazione del mondo che potrebbe essere chiamata "le idee del papa", cioè quelle che stanno in piedi solo nella testa, è pienamente condivisibile e la stragrande maggioranza della popolazione si direbbe d'accordo con una vita concepita usando un modello cooperativo piuttosto che competitivo...
Altro tormentone è la cosiddetta "tecnologia". Gli apologeti della "tecnologia" la ritengono la panacea di tutti i mali. In linea teorica, ma solo puramente teorica (altra idea del papa), per solo amore di ragionamento, si potrebbe immaginare la tecnologia come strumento capace di risolvere ogni possibile problema che ci affligge, consentendoci di vivere felici ed in armonia con tutti gli altri e con l'intero universo conosciuto ed ignoto. ma allora perchè tutto ciò non accade?
Tutti concordano che sarebbe auspicabile vivere in modo cooperativo invece che competitivo al fine di conseguire miglioramenti per tutti. C'è meno accordo quando invece si deve stabilire il criterio di divisione dei miglioramenti conseguiti tramite tale criterio. Chiunque si ponga il problema di come ripartire quel che viene prodotto va incontro a sonore battute e a sconfitte epocali e memorabili. Perchè?
Il motivo di questa apparente contraddizione, tra la possibilità teorica di usare la tecnologia per migliorare la vita di tutti e quel che accade nel reale, cioè l'impossibilità di adottare come un elemento "neutrale" questo criterio, è dovuto al fatto che il criterio distributivo, così come i rapporti di produzione, è un prodotto storico-sociale, un prodotto storicamente determinato dal quale non si riesce a prescindere e che non cade dal cielo, ma è la "sintesi" di quanto il mondo ha sperimentato fino a quel momento e al di fuori del quale la produzione stessa "evapora" e sembra che ci si trovi di fronte a uno di quei pupazzi rotti a carica meccanica. Pertanto sembrerebbe che chiunque voglia porsi il problema di un modo diverso di produrre e, dunque, ripartire la ricchezza prodotta, capace di rispettare i diritti degli uomini e, congiuntamente, in armonia con il sistema naturale, deve operare una "forzatura" al fine di evitare i "tempi lunghi necessari alla storia per elaborare un criterio diverso".
La fine della civiltà Rapa Nui non è dovuta al fatto che nessuno si era accorto che stavano finendo gli alberi sull'isola, ma al fatto che la situazione aggregata sembra essere inconoscibile e non modificabile dai singoli individui. Il primo problema che sembra necessario porsi per poter attuare nella realtà, e non nella testa di qualcuno, -essendo ben consapevoli che si sta tentando di operare una forzatura- queste "intenzioni" che sono in assoluto condivisibili, è quello di immaginare un modo diverso di produrre ed un diverso criterio distributivo. Senza questa operazione preventiva sembra impossibile realizzare una società "altra". A questo proposito va evidenziato che nel corso del secolo passato si sono sperimentati esperienze empiriche e elaborati concetti che, forse, sono in grado di implementare le costruzioni, al momento cervellotiche e puramente installabili solo nella testa delle persone, di individui o aggregati di persone che, in maniera assolutamente condivisibile pongono il problema di un diverso modo di produrre (esperienze significative sembrano essere Alcatraz in Italia o i contributi di missionezeitgeist, Peter Joseph, Jacque Fresco, autori di thrive..).
Questi contributi sembrano essere essenziali al concepimento e progettazione di ipotesi di società diverse da quella attuale che ci sta portando verso una catastrofe di dimensioni bibliche, ma altrettanto essenziale sembra essere tornare ai "fondamentali". Illuminante a questo proposito è il seguente brano:
"La concezione che ci si fa immediatamente è questa: nella produzione i membri della società adattano (producono, danno forma) i prodotti naturali ai bisogni umani; la distribuzione determina il rapporto in cui il singolo partecipa di questi prodotti; lo scambio gli fa pervenire i prodotti particolari nei quali egli intende convertire la quota assegnatagli attraverso la distribuzione; infine, nel consumo i prodotti divengono oggetto del godimento, dell'appropriazione individuale. La produzione crea gli oggetti corrispondenti ai bisogni; la distribuzione li ripartisce in base a leggi sociali; lo scambio ridistribuisce secondo il singolo bisogno ciò che è già stato distribuito; infine nel consumo il prodotto esce da questo movimento sociale, diviene direttamente oggetto e servitore del singolo bisogno e lo soddisfa nel godimento. La produzione appare quindi come il punto di avvio, il consumo come il punto di arrivo, la distribuzione e lo scambio come il punto intemedio, il quale si sdoppia a sua volta, poichè la distribuzione è determinata come il momento che prende avvio dalla società, lo scambio come momento che prende avvio dagli individui. Nella produzione si oggettiva la persona, nella persona si soggettivizza la cosa; nella distribuzione la società si assume la mediazione tra la produzione e il consumo nella forma di norme vigenti, generali; nello scambio la produzione e il consumo sono mediati dalla determinatezza casuale dell'individuo.
La distribuzione determina il rapporto (la quantità), in cui i prodotti toccano agli individui; lo scambio determina il tipo di produzione in cui l'individuo esige la quota assegnatagli dalla distribuzione. In tal modo, produzione, distribuzione, scambio, consumo costituiscono un vero e proprio sillogismo: la produzione è il generale , la distribuzione e lo scambio sono il particolare, il consumo è la singolarità in cui il tutto si conclude. Questa è effettivamente una connessione, ma una connessione superficiale. La produzione è determinata da universali leggi di natura; la distribuzione dalla causalità sociale, perciò essa può esercitare un effetto più o meno giovevole sulla produzione; lo scambio si inserisce tra l'una e l'altra come movimento sociale formale, e l'atto conclusivo del consumo, che non viene concepito soltanto come termine ultimo ma anche come fine ultimo, in fondo si colloca fuori dell'economia, tranne che nella misura in cui reagisce a sua volta sul punto di partenza, avviando di nuovo l'intero processo".